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usciva di me, che le novelle e i sonetti loro non ne fossero esempio. Era d’opinione che la nostra arte oratoria e poetica altro non fosse che imitar loro ambidue, prosa e versi a lor modo scrivendo». Adunque la lingua, la testura delle parole, i loro numeri e la loro concinnità, frasi del tempo, si studiavano nel Boccaccio e nel Petrarca, e se ne cavarono grammatiche, dizionarii e repertorii di frasi e di concetti. Così insegnava Trifone Gabriele, detto Socrate, e così praticava Speron Speroni, riuscito con questa scuola a scrivere in quel gergo artificiale e convenzionale, che si è visto. Così la lingua, fatta classica e pura, rimase immobile e cristallizzata come lingua morta, e il suo studio divenne difficilissimo. Si voleva non solo che la parola fosse pura, ma che fosse numerosa ed elegante. Si formò una scienza de’ numeri non pure in verso, ma in prosa. Il periodo divenne un artificio complicatissimo. Eccone un saggio nello Speroni: «Come la composizione delle parole è ordinanza delle voci delle parole, così i numeri sono ordini delle sillabe loro; con li quali dilettando le orecchie, la buona arte oratoria comincia, continua e finisce l’orazione; perciocchè ogni clausola, come ha principio, così ha mezzo e fine; nel principio si va movendo, e ascende; nel mezzo quasi stanca della fatica stando in piè si posa alquanto; poi discende e vola al fine per acquetarsi. La prosa alcuna volta ben compone le parole non belle, e altra volta le belle malamente va componendo; e può occorrere che, siccome nella musica bene e spesso le buone voci discordano, e le non buone o per usanza o per arte sono tra loro concordi; così i pari, i simili, e i contrarii, cose tutte per lor natura ben risonanti, qualche volta con voce aspra e difforme, qualche volta scioccamente e a bocca aperta va esplicando l’orazione. Finalmente molte fiate intravviene, che la prosa perfettamente composta, quasi fiume del proprio corso ap-