del mio intelletto, e questo non tanto per dovere essere inteso, il che è cosa degna da ogni volgare, quanto a fine che il nome mio con qualche laude tra’ famosi si numerasse, ogni altra cura proposta, alla lezion del Petrarca e delle cento novelle con sommo studio mi rivolgei: nella qual lezione con poco frutto non pochi mesi per me medesimo esercitatomi, ultimamente da Dio ispirato ricorsi al nostro messer Trifon Gabriele: dal quale benignamente aiutato vidi e intesi perfettamente quei due autori, li quali, non sapendo che notar mi dovessi, avea trascorso più volte.» Questo è un solo periodo! e che affanno! e domando se vi par lingua viva. Ecco ora in iscena Trifone, uno de’ grammatici e critici più riputati, e chiamato il Socrate di quella età. «Questo nostro buon padre primieramente mi fece noti i vocaboli, poi mi diè regole da conoscere le declinazioni e coniugazioni di nomi e verbi toscani, finalmente gli articoli, i pronomi, i participii, gli avverbii e le altre parti dell’orazione distintamente mi dichiarò; tanto che accolte in uno le cose imparate, io ne composi una mia grammatica, con la quale scrivendo io mi reggeva. Poichè a me parve di esser fatto un solenne gramatico, io mi diedi a far versi: allora pieno tutto di numeri, di sentenzie e di parole petrarchesche o boccacciane, per certi anni fei cose a’ miei amici meravigliose: poscia parendomi che la mia vena si cominciasse a seccare (perciocchè alcune volte mi mancava i vocaboli, e non avendo che dire in diversi sonetti, uno istesso concetto mi era venuto ritratto), a quello ricorsi che fa il mondo oggidì: e con grandissima diligenzia feci un rimario o vocabolario volgare, nel quale per alfabeto ogni parola che usarono questi due distintamente riposi: oltre di ciò in un altro libro i modi loro del descriver le cose, giorno, notte, ira, pace, odio, amore, paura, speranza, bellezza siffattamente raccolsi, che nè parole, nè concetto