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Parte III. Libro III. 347

ve ne avesse ancora de’ veri Romani, questo non sembra che essi il provino, né che si possa sì agevolmente provare.

Capo VI.

Giurisprudenza


[I. Onori e vantaggi, di cui godevano a Roma i Giureconsulti] I. Mentre in questa maniera andavano i Romani perfezionandosi nello studio delle Scienze tutte e dell’Arti liberali, venivano ancora sempre più avanzandosi in quella, che al buon reggimento della Repubblica più d’ogni altra è necessaria, cioè nella Giurisprudenza. Era questo uno studio onorevole non meno che vantaggioso. Un dotto Giureconsulto era sempre affollato da numeroso stuolo di Cittadini, altri a chieder consiglio, altri ad apprendere la scienza delle leggi. Anzi era generale il costume, di cui abbiamo moltissime pruove negli antichi Scrittori, che in sul fare del giorno accorressero numerose schiere di Clienti alla casa del loro Avvocato, quasi a fargli corteggio. La maniera stessa, con cui essi rendevano le lor risposte, spirava la gravità e la grandezza del Romano Impero; perciocché seduti su una specie di trono udivano le proposte, e rispondevano. Ego, dice Cicerone1, ætatis potius pacationi confidebam, cum præsertim non recusarem, quominus more patrio sedens in solio consulentibus responderem, senectutisque non inertis grato atque honesto fungerer munere. E tal era l’onore e il vantaggio di questo loro esercizio, che taluno per non interromperlo ricusava di salire alla dignità stessa del Consolato. Io penso, scrive Cicerone ad Attico2, che Aquilio (famoso Giureconsulto) non sarà tra’ candidati del Consolato, perciocché egli ricusa di esserlo, e giura di essere infermo, e reca a sua scusa il regnar, che e’ fa ne’ Giudicj. Ma veggasi singolarmente l’eloquente tratto di Cicerone in lode di questa scienza3, ove egli mostra, quanto di onore, di autorità, di benevolenza ella arrechi a chi la professa; che tutti i più ragguardevoli e i più illustri Cittadini Romani eransi sempre ad essa applicati; che niun più dolce e più onorevol confor-

  1. De legib. I. I. n. 3.
  2. L. I. Ep. I.
  3. De Orat. I. I. n. 45.