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Eccone le precise parole30

Commentarios quosdam scripsit rerum suarum valde quidem, inquam,

probandos: nudi enim sunt, recti, & venusti, omni ornatu orationis, tamquam veste, detracto; sed dum voluit alios habere parata, unde sumerent, qui vellent scribere historiam, ineptis gratum fortasse fecit, qui volunt illa calamistris inurere; sanos quidem homines a scribendo deterruit: nihil enim est in historia pura & illustri brevitate dulcius. Dopo il qual Elogio, qualunque cosa dicasi Pollione, il quale, come già si è detto, tacciava di negligenza i Commentarj di Cesare, egli soffrirà in pace, che a Cicerone più che a lui prestiam fede. Forse più giustamente egli accusò Cesare di avere in alcune cose alterata la verità, poiché non è inverisimile, che l’amor della gloria gli reggesse talvolta la penna, e lo inducesse o a dissimulare, o a rivestire di più favorevol colore alcune cose. E 163 il Vossio alcuni passi in particolare ha osservati31, ne’ quali Cesare di qualche dissimulazione ha usato. Ma in ciò, che è eleganza e proprietà di stile, egli è certo, che non vi ha forse autore, che a lui si possa paragonare, detto per ciò a ragione da Tacito Summus auctorum32. Ciò che è più a stupire si è, ch’essi per detto di Irzio, che ne fu testimonio, furono da lui scritti con somma fretta. Del che, dic’egli33 , noi più che ogn’altro abbiamo a maravigliarci. Perciocché gli altri veggono solo, quanto bene ed esattamente egli abbia scritto; noi abbiamo ancora veduto, con qual facilità e con qual prestezza egli scrivesse. Dopo ciò in non posso rammentar senza stomaco la prodigiosa sciocchezza di qualche moderno Scrittore rammentato dal Fabricio e dal Vossio, che de’ Commentarj di Cesare volle fare autore Svetonio. Di un’altra opera intorno alla sua propia vita scritta dallo stesso Cesare, di qualche dubbioso frammento de’ suoi Commentarj, e di ciò che intorno ad essi abbia adoperato un cotal Giulio Celso, si posson vedere i due mentovati Scrittori, che l’entrar in sì spinose e sì minute quistioni e ci ritarderebbe di troppo, e di troppo annojerebbe i Lettori. Aggiugnerem qui solamente, che il primo libro della Guerra Gallica ebbe l’onore di esser recato in lingua Francese dal Re Lu