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210 Storia della Letteratura Italiana.

destavano nel cuor di Augusto, Ovidio avea ragion di temere, che nol togliesse ancora di vita.

XL. Così a me pare, che ogni cosa si spieghi probabilmente. La confusione, che Augusto avea provata negli anni addietro per le disonestà della figlia, e l’orrore, che sentiva nell’essere così infamato da’ suoi, tutto se gli riaccese in seno, quando riseppe, che la nipote ancora erasi macchiata di sì reo delitto; e che Ovidio avea ardito di penetrare colà, ove esso si era commesso, e di esserne spettatore. Quindi per non soggiacere di nuovo a quella vergogna, che le disonestà della figlia, aveangli cagionato, rilegata subito la nipote, e tolto verisimilmente di mezzo il complice del delitto, volle ancora, che rilegato fosse colui, che solo rimaneva consapevole dell’infame segreto, sì per non avere innanzi agli occhi un oggetto, che di continuo gli richiamava al pensiero il disonore di sua famiglia, sì ancora per assicurarsi, che Ovidio non divolgasse il fatto. E questo io penso, che fosse veramente il motivo, per cui Augusto usò di qualche clemenza con Ovidio, adoperando, come si è detto, il termine men rigoroso di rilegazione anzi che quello di esilio, e lasciandogli il godimento di tutti i suoi beni. Augusto non avrebbe certamente, a mio parere, così operato, se reo di grave delitto con Giulia fosse stato Ovidio. Ma egli altro non volle, che allontanare quanto più poteva da Roma chi era consapevole di tal delitto; e perciò gli permise di goder de’ suoi beni, perché il timore di perdere questi ancora il rendesse cauto a tacer ciò, che Augusto voleva sepolto in eterno silenzio. A me non pare, che contro questa opinione si possa fare alcuna grave difficoltà. Nondimeno io non fo che proporla, e soggettarla all’esame degli eruditi, pronto a mutar parere, quando essi o la mostrino mal fondata, o un’altra miglior ne propongano.

XLI. Io avea scritto fin qui, quando mi sono abbattuto a vedere nell’opera di Gian Niccolò Funccio De virili ætate latinæ linguæ accennato il sentimento, che sulla cagione dell’esilio di Ovidio ha proposto l’erudito ed esatto Scrittore Giovanni Masson nella vita di questo Poeta da lui pubblicata in Amsterdam l’anno 1708. Non mi è stato possibile il vedere, come avrei bramato, questa vita; ma ecco ciò, che il Funccio ne dice su questo argomento. Joannes Masson Vir Cl. crimen dicit fuisse Jul-

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