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LIBRO DECIMO — 1821. | 299 |
Avellino e nella Puglia erano severissime le corti marziali; nella Basilicata la polizia più che altrove operosa e tirannica; nelle Calabrie abbondavano i delitti di parte e le vendette, negli Abruzzi e in Terra di Lavoro i comandanti tedeschi, sospettosi e di mala gente accerchiati, imprigionarono tanti cittadini che bisognò forma più breve di processo e particolar magistrato a giudicarli. Aveva ogni provincia il suo flagello.
Ma si percotevano uomini, benchè famosi di carboneria, bassi ed oscuri nel mondo: se non che subito il circolo degli afflitti si slargò. Perciocchè visto lo stato della città, la divisione dei cittadini, la viltà, la paura, la pazienza del popolo, Canosa scrisse al re che potea punire senza pericolo; ed avuta risposta, punisse: fece chiudere in carcere il general Colletta, il general Pedrinelli, il deputato Borrelli al quale i servigi di nove mesi non eran bastanti a placare l’odio antico del re. Poco appresso altri generali, Arcovito, Colonna, Costa, Russo; altri deputati, Poerio, Pepe, Piccoletti; e consiglieri di stato, Buzzelli, Rossi, Bruni; e magistrati ed uomini chiari per virtù e per opere, furono imprigionati. La insidiosa polizia con mala industria diceva esser molli altri destinati alla pena e indicava i nomi acciocchè fuggissero, desiderando degl’innocenti la fuga non il giudizio. Non che mancassero giudici iniqui a condannarli, ma la manifesta ingiustizia facea timore e nondimeno l’odio sfogava; però che nella presente lega delle polizie europee i fuggitivi sarieno stati dovunque altrove straziati; e per l’andar volontario sospettandosi mala coscienza e delitti avrebbero incontrata doppia pena, l’esilio e la infamia. Così spinto a fuggire fu il general Carascosa. Ma poi, scoperto l’inganno, cessarono le fughe; e non potendo ad un punto castigar per giudizii quanti l’odio accennava, se ne scrissero i nomi e si attendeva l’opportunità alle vendette. La fama, forse maligna come suole contro i potenti, diceva inscritti quattromila nomi nel libro esiziale, e che continuo cresceva di pagine per le cure delle giunte scrutatrici. Era ferocissima quella per l’esercito; nella quale usando scrutinare per dimande, il capo di lei general Sangro interrogava: « Siete mai stato carbonaro? Avete mai disertato? Commetteste alcun altro delitto contro il re e lo stato?» Dimande sfrontate perchè da lui, che, carbonaro nel 1821, disertò col figlio dalle giurate insegne. Così che spesso la indignazione de’ sottoposti vincendo la prudenza, facea rispondere svergognando e confondendo quel tristo. Dopo di allora quella giunta e le compagne, mutato stile, giudicando per segrete inquisizioni, furono più libere, più infeste.
Si moltiplicavano i delatori e le spie, officio infame, ma che arrecando salvezza e premii era in età pericolosa e corrotta ricercato. Uno di quei malvagi, uscendo di chiesa affollato con altre genti,