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LIBRO DECIMO — 1821. 293

intese per ordinanze a ristabilir la disciplina, ma non bastò il tempo a’ concetti.

Ministro di marina fu il cavalier de Thomasis sperto di politica e delle dottrine legali e filosofiche, imperito nell’armi. Ma per lui potè l’ingegno ciò che spesso per altri le pratiche lunghe non possono. Rappresentò al parlamento i benefizii che ricava lo stato da’ navilii guerriero e commerciale: disse come erano in atto; propose riforme, miglioramenti, risparmii; fu lodato dal pubblico per la sua già buona fama, e dagli uomini di armata per i suoi giudizii nell’arte. Quel ministero fu poscia unito al ministero di guerra, ed allorchè l’esercito apprestavasi alle difese, molte navi armate correvano i mari con maraviglia universale per la prestezza delle opere in tanta scarsezza di mezzi. Il parlamento, nelle buone leggi testè riferite meritò lode comune co’ ministri: ma fu solo agli altri onori che andrò esponendo. I maggiorati tuttora duravano nelle due Sicilie; in Napoli non aboliti da’ re francesi, imitatori vogliosi o forzati dell’imperator Napoleone, nè dal re Borbone che teneva quelle vecchie leggi, sostenitrici di assoluta monarchia; ed in Sicilia caduti per la costituzione dell’anno 12, e subitamente rinvigoriti con decreto di quel parlamento, così che la mala pianta vegetava ne’ due regni uniti. Ma legge del 1821 l’abbattè: i beni soggetti a majorasco, tornarono per essa liberi. Il deputato Arcovito fu della buona legge l’oratore.

Altre leggi, proposte dal deputato Natale, abolirono la feudalità di Sicilia; non essendo bastati sino al 1821 gli esempii de’ più civili regni e la sapienza de’ tempi e i costumi de’ signori e la stessa costituzione politica dell’anno 12 e parecchi decreti degli anni 16 e 17. Quella feudalità, cessata molte volle nel nome, non mai ne’ possessi, era finalmente per le nuove leggi distrutta, le stesse che sotto i re Giuseppe e Gioacchino operarono tra noi la piena caduta del barbaro edifizio. Mancò tempo alla seconda prova, perciocchè spento indi a poco il reggimento costituzionale, tornò qual era la feudalità nella Sicilia. Io credo che i modi bastati per noi erano scarsi per quell’isola, dove la feudalità è più potente, i fecudatarii più venerati, il popolo meno persuaso dell’utile riforma, il governo senza le giovani forze della conquista, gli ajuti e la grandezza di straniera potenza. Ma quali che si fossero ne’ successi quelle leggi, erano benefiche nel concetto.

Terza legge del parlamento regolava l’amministrazione delle comunità e delle province. L’asprezza delle ordinanze francesi, divenute nostre nel decennio e conservate nel succeduto regno dei Borboni, generò ne’ popoli opinione che fosse libertà il disfacimento di quel sistema. Perciò la nuova legge, parteggiando colle credenze dell’universale, schivando l’autorità del governo, affidava