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LIBRO DECIMO — 1821. 291

dizii le colpe minori, e provvedendo che da questa eccezione non venisse danno o pericolo agli accusati. Tolse le idee dalle leggi francesi e inglesi sopra i giurì; più sì giovò delle americane. Avvantaggiò sopra tutte, sempre a pro degli accusati; parzialità, forse offensiva della giustizia, ma buona ad esempio di carità cittadina, e profittevole a’ costumi più che gli atti inflessibili del rigore. Dopo il conte Ricciardi fu ministro il magistrato Troyse, che, sebben grave di età e per lunga pezza impiegato sotto monarchia dispotica, ricalcò le tracce libere del precessore, e le avanzò. Così mostrando che ne’ suoi primi anni avea seguito, dolente, gli errori di assoluto governo.

Il ministero dell’interno si affaticò a conciliare le passate istituzioni amministrative colle presenti del nuovo statuto. Ma grande intoppo facevano le opinioni del pubblico ministro, però che il pubblico credeva il ministro fermo nelle pratiche dell’assoluto, e quegli vedeva i potenti della rivoluzione inchinati alle troppe libertà municipali. Era doppio e vero il difetto. Aggiungeva diffidanza e discordia l’ingegno del conte Zurlo, usato a’ rigiri della curia, alle dissimulazioni ministeriali, a’ comandi del dispotismo: perciò il suo ministero fu campo di liti e di astuzie. Gli succedette il marchese Auletta, che, tra ’l poco sapere e il voler poco, chiedeva di uscirne. E, lui uscito, il cavalier de Thomasis il quale sapeva e voleva; ma per brevità di tempo, fra le sollecitudini della guerra e i vacillamenti dello stato, nessuna cosa fece di memorabile.

L’erario era pieno nel 1820; ma per le rivoluzioni di quell’anno, tolti alcuni tributi, le rendite scemate, cresciuti i bisogni, distrutto il credito, le casse del fisco si vuotavano. Si chiese prestanza e si otteneva da case di Londra e Parigi, se il ministro di finanze, parendogli i patti assai duri, non avesse sciolto i maneggi. Quegli era il cavalier Macedonio, amante ab antico di patria e di governo, dotto in economia, ma giudicandone per sentenze che spesso fallaci anche nel riposo delle opinioni fallano assai più ne’ tempi di sconvolgimento e di guerra. Il Macedonio, come altrove ho riferito, diede luogo al duca di Carignano, ignorante di quelle scienze, avverso a libero stato, solo curante del proprio comodo. Crescendo i bisogni e i pericoli, divenuta impossibile la prestanza esterna, si fece ricorso ad un prestito interno sotto condizioni gravi alla finanza, più gravi a’ creditori; a’ quali si davano cedole non circolanti perchè rappresentative di credito non di moneta e perciò lontane speranze in tempi disperati. Il prestito divenne tassa forzata, motivo a vessazioni, materia e strumento di polizia.

Altro male sopravvenne dall’avere il banco dello stato fermato i pagamenti, perciocchè nelle cresciute strettezze della finanza colla memoria dei passati spogli, sotto ministro non abile, non sicuro,