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24 LIBRO SESTO — 1806.


XXIV. Così nelle Calabrie. Frattanto in Napoli si ordinava la finanza, sì migliorava la istruzione pubblica, si aboliva la feudalità. si scioglievano i fede-commessi, si spartivano i beni del demanio comune, si davano a’ giudizii criminali libere forme: molti beni si facevano. Delle quali cose ragionerò partitamente, conlegandole, come ho fatto sin ora, alle ribellioni, alle congiure, agli eccessi delle fazioni, alle asprezze della polizia, alle crudeltà de’ capi militari, alle licenze dell’esercito; onde il lettore di questi scritti veda uniti nel regno di Giuseppe grandi beni a grandi mali, gli uni futuri e di mente, gli altri presenti e di fatto; e così discuopra perchè tra Napoletani i sapienti secondavano il conquistatore, e gl imperiti lo combattevano. Dirò tempi di altro regno, in cui, da tutti sentite le più civili instituzioni, ebbe il popolo animo e moto comune.

S’impose tributo su i poderi rustici ed urbani, detto fondiaria. abolite le antiche contribuzioni dirette (erano ventitrè), ineguali ed assurde. La fondiaria toccava ogni rendita di beni stabili, rivocando gli usati favori alle terre regie, feudali, ecclesiastiche, o le maggiori gravezze ad alcune province o comunità; legge uguale, senza ingiurie o privilegi, traeva a pro dello stato la quinta parte delle entrate disgravate di pesi. E poichè imponeva sette milioni di ducati, era creduta la entrata generale di trentacinque milioni, minore del vero in quel tempo, ma non è debito della storia il dimostrarlo.

Senza catasto, censo, o statistica, per dividere il peso fra tributarii si ebbe ricorso a ripieghi e compensi con fraudi ed errori innumerevoli. Un catasto amministrativo cominciato nel 1806 terminò (più per lassezza degli operatori che per compimento dell’opera) nel 1818; e però con poco piu di tempo e di spesa componevasi il catasto geometrico che a noi manca, e qui lo dico a vergogna e stimolo della civiltà napoletana. Quel tributo in sè grave, i disordini nel ripartirlo, il rigore all’esigere, furono scontentezze che dipoi scemarono per lo scresciuto prezzo delle granaglie e il celere passaggio di mano in mano dei beni stabili.

Gli arrendamenti ritornarono alla finanza: chiarite le ragioni degli assegnatarii. e scritte in un libro, detto gran-libro de’ creditori dello stato; si diede ad ognuno di loro una cedola dinotante il credito, guarentita della finanza pubblica, trafficabile, fruttifera dal 4 per 100, poi ridotta al 3. Al gran-libro si assegnarono per ipoteca dieci milioni di beni stabili, venuti dai disciolti conventi; e però le cedole, accomunate ai destini di non ben saldo governo, discesero a vilezza, e la serbarono lungo tempo, benchè con esse si comprassero i beni ipotecati; trovandosi esposte le compre al doppio pericolo della fortuna di uno stato nuovo, e delle sorti avvenire del papato. Eppure gli avidi e arrischiosi presi dalle attrattive di ricchezza compravano le terre de’ frati, le case, i conventi, le chiese; e i