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LIBRO SESTO — 1806. 21

non era compiuta, e perciò aggiugnendo altri cannoni, si separavano ambe le entrate, per lta sera del 19, aperte e facili.

XXI. Benchè gli assalti fossero preparati per la mattina del 20, i Francesi a’ primi albori del 18, formate le schiere a colonna, simularono quel moto che nel campo suol precedere il punto di montar la breccia. E gli assediati, viste aperte le mura ed in pronto il nemico di assaltare dimandarono patti di resa; ma non così certamente se il prode Philipstadt era nella fortezza; imperciocchè il colonnello Storz, che dopo la mortal ferita del primo ne faceva le veci, animoso anch’egli e risoluto alla guerra, aveva debole autorità di secondo, e comandava per consigli, male estremo degli assedii. Fu concordato in quel giorno istesso rendere Gaeta a’ Francesi ed imbarcare la guernigione per Sicilia, prima giurando di non combattere contro la Francia ed i suoi confederati per un anno ed un giorno. Erano i prigioni tremila e quattrocento, alcune altre centinaja rimasero con gli stessi patti agli ospedali; altri per via di mare fuggirono liberi; ed altri, infedeli o incostanti, si diedero nascostamente al vincitore.

Al giorno delle prime offese, 7 luglio, montavano gli assediati intorno a settemila, metà degli assediatori; bordeggiavano in giro alla fortezza o stavano ancorati nel porto quattro vascelli inglesi, sei fregate, trenta cannoniere o bombarde, alcune navi da trasporto. In tutto l’assedio la fortezza tirò centomila palle o bombe, e l’altra parte quarantamila. Furono morti o feriti novecento borboniani, mille e cento Francesi: tra borboniani ferito nel capo il principe Philipstadt; tra Francesi il general Vallongue colpito da scheggia di bomba cessò di vivere al terzo giorno; ed il general Grigny con miglior fortuna mozzato del capo da una palla da sedici. Degli altri, prodi ancor essi, sono i nomi oscuri ed inonorati.

XXIII. L’esercito di Gaeta, dopo breve riposo, sotto il comando dello stesso Massena, andò nelle ribellate Calabrie, bandite dal governo in istato di guerra; cessando in quelle province l’impero deile leggi, l’autorità de’ magistrati, le forme, i giudizi, gli usi civili, si commettevano la facoltà, la libertà, la vita de’ Calabresi al volere del solo uomo che reggeva l’esercito. Minaccia e pericoli così grandi non impaurirono quelle genti che in gran numero adunate in Lauria, sostenuto dal genio degli abitanti, e tenendo ritirata sicura su gli alpestri monti del Gaudo, s’imboscarono innanzi alla città; ed all’apparire della prima schiera francese, sollecita per troppo sdegno, si palesarono innanzi tempo per colpi di archibugio. Indi sbigottendo fuggirono, ed a quello aspetto di timore gli abitanti della città (fuorchè gl’inabili all’andare, vecchi, infermi, fanciulli) seguirono la fuga. Lauria, meno a castigo che per primo esempio, fu messa a sacco ed arsa dal vincitore, sì che bruciarono