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LIBRO SECONDO — 1760. 87

e nel prospetto di lunga pace, speravano regno mansueto e felice. Poscia il re, seguendo l’esempio de’ predecessori, chiese al pontefice la investitura del regno; e, concordata, prestò il dì 4 di febbrajo del 1760, in iscritto e con la voce del cardinale Orsini suo legato, il giuramento chiamato «di omaggio e di vassallaggio al sommo pontefice; e di non procurare di essere eletto in re imperatore de’ Romani, oppure re di Germania, signore della Lombardia e della Toscana; e nel caso vi fosse eletto, non vi presterebbe alcun consenso,»

II. La reggenza governava co’ precetti di Carlo antichi e nuovi, perciocchè da Spagna venivano comunicati al Tanucci, sotto forma di suggerimenti, e pur talvolta di comando. Il quale privato carteggio agevolò i disegni del ministro con fare i reggenti vieppù arrendevoli al suo giudizio in certe imprese disapprovate dalla coscienza; erano le libertà dalla curia romana, ossia l’affrancare l’impero dal sacerdozio, e soggettare all’impero i sacerdoti del regno; le quali ragioni di stato si tenevano a peccato dalle anime plebee di que’ reggenti: ma una servitù vincendo l’altra, prevaleva il vero o supposto comando di Carlo al tacito consiglio della coscienza. E così lo scorto Tanucci, per dispacci, ordinamenti, decisioni della reggenza, tanto mutò dall’antico, e tante novelle relazioni e bisogni civili compose, che il re divenuto maggiore in libera sovranità non poteva disfare le cose fatte senza produrre all’universale danni e disordini. Fu perciò necessario a Ferdinando durare e procedere nello irrevocabile cammino; cosicchè io raccogliendo ciò che in materie giurisdizionali fu operato ne’ trent’anni descritti in questo libro. avrò rappresentato il senno di un sol uomo, il Tanucci.

Dirò per sommi capi le prammatiche della reggenza e del re su le quistioni con la curia romana. I ministri regii provvidero agli spogli ed ai beni de’ trapassati vescovi, abati, benefiziati; le entrate delle sedi vacanti furono addette ad opere di civile utilità.

Furono soppressi parecchi conventi; due in Calabria, ricettacoli di malviventi, uno in Basilicata, quattro in Puglia, tre in Abruzzo, ventotto nella Sicilia, per motivi diversi o per esercizio di sovranità. I beni di que’ conventi andarono al comune.

Le decime ecclesiastiche, prima ristrette, poi contrastate, finalmente abolite.

E dipoi, rimossi gli ostacoli e preparate le coscienze a legge di maggior momento, furono interdetti gli acquisti alle mani-morte; dichiarati mani-morte i conventi, le chiese, i luoghi pii, le confraternite, i seminarii, i collegi; ed acquisti, ogni nuova proprietà, l’accrescimento delle case o de’ conventi, la fondazione di nuove chiese o cappelle, i patrimonii de’ preti e le doti delle monache oltre i limiti della legge, le limosine per feste, per processioni, per