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80 LIBRO PRIMO — 1748-59.

scrisse lettere preghevoli al re, il quale per esse concedette il rinovamento del commercio, la liberazione delle commende, tutti gli atti di pace; ma ritenne ed autenticò a sè ed a’ successori le antiche ragioni su l’isola.

LVII. Si confortarono per tante pacificazioni le genti di Europa, ed il re più intese alle nazionali riforme. Stando nell’animo di lui e nella mente del suo ministro Tanucci l’abbassamento della feudalità, con prammatica del 1738 aveva tolte a’ baroni molte potestà, che poi riconcedè nel 1744 a ricompensa de’ servigi nella guerra di quell’anno. Col passare del tempo intiepidiva la improvvida gratitudine, ma sino alla pace di Aquisgrana non si arrischiava di scontentare la parte più potente dello stato. Ed oltracciò i redditi baronali benchè di non giusta o di strana origine erano sì tenacemente intrinsecati nelle consuetudini, che annientarli sarebbe apparsa ingiustizia per fino a coloro che ne avrebbero goduto, Perciò il re e il Tanucci, non toccando agl’interessi de’ baroni, terre, entrate, diritti e proventi, ne depressero l’autorità; e rivocando molte giurisdizioni, soggettando ad appello le sentenze de’ giudici baronali, diminuendo il numero degli armigeri, prescrivendo regole a punirli, snervarono il mero e misto imperio principale istromento della baronale tirannide. Poco appresso furono abolite parecchie servitù personali, quindi per legge stabilito di non mai concedere nelle nuove o rinovate investiture de’ feudi la criminale giurisdizione. Si dichiararono con altra legge incancellabili dal tempo le ragioni delle comunità sopra le terre feudali, si concitarono i litigi; e i giudici stando nella città sotto gli occhi del re, lontani della potenza de baroni, in mezzo a secolo di franchige, sentenziavano raro o non mai a danno de’ comuni. Alle quali giustizie Carlo unì le arti di governo, invitando i maggiori baroni alla corte, e trattenendoli per lusso e vanità. E poichè i maggiori dimoravano nella città, i minori seguivano per ambizione l’esempio. I feudi restarono sgombrati de’ suoi baroni; le squadre di armigeri, di custodia e potenza de’ signori, divenute peso e fastidio, sminuirono; respiravano le province; la città capo del regno, assai popolosa, più cresceva; le case de grandi per soperchio lusso e l’abbandono delle proprie terre, impoverivano; danni non però eguali al beneficio della depressa feudalità. Mutando in parte i sentimenti del popolo, furono i baroni meno riveriti, la feudalità meno legittima, e a poco a poco si aprirono le strade a maggiori successi. Era immensa quella mole che sebbene cadde (come dirò a suo luogo) nell’anno 1810 per opera de’ succedenti re, il merito della prima scossa è di Carlo.

Era tempo felice a’ sudditi ed al re; le oppressioni vicereali dimenticate, le baronali alleggerite, certa la pace, avventurosa di molta prole la reggia, il vivere abbondante, le opinioni de’ reggi-