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78 LIBRO PRIMO — 1746.


Continuando la ritirata de’ Borboniani e la prosperità de’ contrarii, Genova da’ primi abbandonata, fu presa dagli altri, e peggiori sorti si preparavano, quando il disperato ardire della città mutò le condizioni della guerra d’Italia. A me non spetta, e me ne duole, discorrere i maravigliosi fatti del popolo genovese contro le agguerrite schiere alemanne; chè raro avviene a chi scrive istorie d’Italia narrare il trionfo degli oppressi sopra i tiranni; come di ordinario sono le parti de’ suoi mesti racconti, la miseria de vinti, la felicità degli oppressori. Non così nella città di Genova l’anno 1746, allorchè tollerate tutte le ingiurie, tutti i danni, e non però satollata la feroce avarizia e l’arroganza de’ Tedeschi, per leggero caso, e per un sasso vibrato da mano di fanciullo, prima la plebe, poscia il popolo ed infine il senato si alzarono a vendetta ed a guerra con tanto ardore è felicità che scacciarono vinti ed avviliti il generale Botta (per cordoglio d’Italia, Italiano) e molte migliaja di Tedeschi. Genova si chiuse ed armò; mancarono agli Alemanni gli ajuti di ricca e forte città; crebbe a loro il numero de’ nemici; mutarono i disegni della guerra. La Francia, la Spagna, il re di Napoli mandarono ambasciatori, soldati e danaro alla eroica città; la quale ordinò molte schiere per sua difesa ed ajuto a’ collegati. La guerra del seguente anno si sperava felice a’ Borboni.

LVI. Se non che la improvvisa morte di Filippo V, e la mente ancora non palese del successore Ferdinando VI, tenevano sospesi gli animi e gli apparati. Ma il nuovo re delle Spagne, comunque desiderasse la pace, disse, che seguirebbe le imprese del padre: spedi nell’Italia nuove milizie, confermò la guerra. Scrisse a Carlo lettere affettuose. La regina madrigna, nulla perdendo di ricchezza o rispetto, scese di potenza, ed andò a vivere privatamente in un castello distante dalla reggia.

Con varia sorte durò la guerra ancora due anni, così che per sette anni si tollerarono morti e danni infiniti, senza veruna di quelle estremità che menano alla pace volontaria o forzata; si scontravano i nemici e combattevano. Era ignota nel tempo del quale scrivo la scienza che oggi chiamano Strategia, ossia muovere l’esercito lontano dalle offese e dal guardo del nemico per giugnere a certo punto determinato dalle ragioni della guerra, e debellare senza contrasto schiere, fortezze, o città, conservare le proprie basi e linee, occupare le linee o le basi dell’oste contraria. Chè se i maggiori capitani de’ secoli scorsi, e ‘l contemporaneo principe Eugenio di Savoja ne usarono alcune parti, venne da genio naturale e sublime, non da sapere. Avvegnachè Federico II di Prussia fu primo ad ampliare quelle pratiche, le quali compiute ed ordinate da Bonaparte, esposte dal generale Jomini e dal principe d’Austria, divennero dottrina e talento delle scuole; ma l’usarle