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LIBRO PRIMO — 1745. 77

plici delle campagne, unanimi e solleciti come instinto comune li movesse. Ed oggi quello istesso popolo che voleva il bando degli Ebrei, che accoglieva ed arricchiva î nuovi cherici-scalzi, che a gran prezzo comprava gli ossi e le reliquie de’ cinque nuovi santi, veduto il cartello nel palazzo arcivescovile, mormora, si commuove, minaccia di morte due cardinali; e prorompeva in disordini maggiori, se il re (veramente per le querele dell’eletto del popolo, e ’l ricordo delle violate antiche leggi e de’ recenti patti e giuramenti) non avesse con editto riprovato il procedere dell’arcivescovo, abbassato e spezzato il cartello, rivocata la segreta eccelesiastica giurisdizione, e tornata, com’cera innanzi, manifesta e legale. Il cardinale Landi, spedito dal pontefice a pregare il re che moderasse i rigori dell’editto, nulla ottenne; e minacciato dalla plebe affrettò il ritorno. L’arcivescovo Spinelli fu costretto dall’odio pubblico a rinunziare il seggio arcivescovile e lasciar la città. L’editto di Carlo, tutto scritto in marmo. fu solennemente murato in san Lorenzo, casa del comune. Il popolo assistente, soddisfatto e lieto, con gridi e schiamazzi da plebe, donò al re trentamila ducati.

LV. Durava frattanto la guerra di Lombardia, e buona schiera di Napoli, fin dopo i fatti di Velletri, accompagnava l’esercito spagnuolo. Per tutto l’anno 1745 la fortuna fu varia; ma nel seguente si fece avversa ai Borboniani, che investiti e scacciati si ritiravano verso Genova, ricca ed amica. La Magra, ingrossata per distemperate piogge, ritartava la formazione di un ponte, e formatolo ruppe e trasportò. Il nemico avanzava, i Borboniani tra lui e il fiume raddoppiando fatica, siccome il caso voleva, congegnarono altro ponte e lo passavano in fretta, quando sopraggiunti gli Alemanni, impedirono ed uccidevano le ultime file. Finalmente i nostri, pugnando, giunsero all’altra sponda; ed allora degli eserciti mutate le speranze e le cure, gli Spagnuoli volendo rompere il ponte, gli Alemanni serbarlo per passar all’altra riva, si combatteva dalle due parti con incerta fortuna. Nel qual mezzo un sergente napoletano, gigante di persona e di forza, con quattro de’ suoi avanza baldanzosamente sul ponte, e rompono con le scuri, sotto gli occhi e le offese del nemico il mezzo della macchina; ma perciò che operavano a precipizio, e quella si aprì alquanto prima delle speranze, restarono i cinque guastatori verso il nemico, sì che certo appariva la prigionia loro o la morte. Ma il sergente lanciando sull’amica sponda la scure e l’armi, si gettò nel fiume; gli altri quattro imitarono l’esempio, e tutti nuotando tornarono salvi ed onorati al proprio campo. Ebbero i soldati larga mercede; il sergente fu alzato da Carlo a capitano. Simil valore ad Orazio, soldato di repubblica , diede eterna rinomanza; i moderni storici di monarchia trascurarono il nome del generoso campione.