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LIBRO QUINTO — 1806. 335

mattino del 13 di febbrajo alcune migliaja di cittadini onesti ed armati andavano a partite per le vie e le piazze; mentre i lazzari, maravigliati e dispettosi, accusavano la tardità dei loro capi. Stavano le armi in mano ai partigiani di Francia, quei medesimi che poco innanzi, seguaci di repubblica, avevano sofferto la prigionia o l’esilio; ed erano fresche le memorie, vivo il dolore delle patite stragi del 99, e con essi abitavano la città molti dei più feroci persecutori, e tutti i giudici delle giunte di stato, e giungeva esercito amico e potente. Così che invitavano alla vendetta, facilità di conseguirla, giusto dolore, istinto (quasi di umanità) e certezza di andare impuniti. Ma virtù civile si oppose; le case dei malvagi furono guardate, e dal timore che la mala coscienza suscitava, vennero quei tristi rassicurati per discorsi e per opere dell’opposta parte. Allora fu visto la utilità delle guardie cittadine nei politici sconvolgimenti; e poscia ricomposte ne’ moti civili degli anni successivi, tre volte salvarono la città e le province che della città si fanno esempio dalle nequizie del 99.

Durò quell’ordine due giorni, però che al mezzo del dì 14 di febbrajo del 1806 giunsero alle porte le prime squadre francesi. Quante passioni racchiude un popolo, quanti interessi un regno pendevano in sospeso; chi fuggiva, chi nascondevasi, chi andava incontro al vincitore; sospetti, speranze ambizioni agitavano a gara l’animo dei Napoletani.


FINE DEL TOMO PRIMO.