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316 LIBRO QUINTO — 1804.

Ignazio.» Sursero, dopo ciò, ne’ due regni parecchi collegi, quasi, per modestia, inosservati.

XXVII. Comechè il consiglio di finanza sollevasse per credito l’erario pubblico, non bastando le entrate ai bisogni, propose, e il re approvò, taglia novella sopra tutti gli ordini dello stato, dichiarata di un milione, creduta di tre, incapace di computo per i disordini della statistica ed il garbuglio dei metodi finanzieri, transitoria per la promessa, poi continua nel fatto. Altre due leggi francarono d’ogni tributo l’uscita della seta e dei metalli a verghe o in denaro; leggi sapienti, che poco fruttarono perchè mancò tempo a maturarne i benefizii; e sole, in sei anni di regno, che trattassero di pubblico interesse, in mezzo ad infiniti provvedimenti intesi a sfogar vendette o a stabilire quieta servitù nei soggetti e tirannide sicura nei dominatori.

Perciò afflitte stavano le nostre genti, allora quando ad accrescere mestizia e danno la terra scosse per tremuoto, poco meno terribile di quello descritto nel secondo libro di queste istorie. Giorno della sventura il 26 di luglio, alle ore due ed undici minuti della notte; centro del moto Frosolone, monte degli Apennini fra la Terra di Lavoro e la contea di Molise; il terreno sconvolto da Isernia a Ielzi, miglia quaranta, e per largo da Monterodoni a Cerreto, miglia quindici; perciò seicento miglia quadre, disegnando un lato della figura la catena lunga dei monti del Matese. Sopra quello spazio sorgevano sessant’una città o terre, albergo a quarantamila o più abitatori; e di tanto numero due sole città, San Giovanni in Galdo e Castropignano, benchè fondate alle falde del Matese, restarono in piedi; gli uomini morti montarono intorno a sei mila; i casi del morire varii e commiserevoli, come nel tremuoto delle Calabrie, che nel secondo libro ho descritti. E varii furono i movimenti, perchè di questi è cagione meno la spinta che la natura del suolo dove gli edifizii sono fondati; la città d’Isernia, lunga un miglio e solamente larga quanto le case che fiancheggiano una strada, cadde metà, cioè tutto l’ordine verso oriente, lasciando intero il resto. Il terreno, fesso a rete, e in certi luoghi tanto ampiamente che subissò in voragini; uscivano dai fessi fiamme lucenti, e la cima del monte Frosolone brillava quasi ardente meteora. Gli abitanti di quella infelice regione avevano sentito nel mattino del 26 straordinaria lassezza, e puzzo come di zolfo, nojoso all’odorato ed al respiro; videro alle ore quattro dopo il mezzogiorno annubilato il cielo, e correre i nugoli come turbine impetuoso gli spingesse, mentre che in terra nessun vento spirava benchè leggerissimo, ma col cadere del sole si alzò fiero aquilone, che poi cedè allo scoppio del tremuoto mutandosi a spaventevole rombo. La prima scossa fu leggiera e da pochi avvertita, ma ne succederono tre altre nel breve tempo di