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282 LIBRO QUINTO — 1799.

acerbità del comando e della estrema pazienza nel soffrire, per dismettere gli odiosi nomi di tirannide, di tiranni, di schiavitù, di servi. Le cose riferite nel precedente capo avvennero in presenza del re, che stava sopra vascello inglese nel golfo di Napoli, donde sciolse il dì 4 di agosto per Palermo, dicendo con editto: aver egli vinto, per gli ajuti di Dio, de’ suoi alleati e de’ suoi popoli, nemico fortissimo di armi e di tradimenti; esser quindi venuto a premiare i meritevoli, a punire i ribelli, non essendo mai stata sua intenzione capitolare con essi; ma la giustizia non comportando la cessazione de’ castighi, nè il suo regal animo, dalle ricompense, aver egli ordinato il proseguimento de’ giudizii di stato, e ’l più ampio esame de’ servigi resi dalle comunità o dalle persone. Quindi nel tenersi lontano poco tempo dalla fedelissima città di Napoli, confidare la sicurezza e la quiete del regno agli ordini ristabiliti, all’autorità dei magistrati, alla forza delle milizie, ma soprattutto alla fede sperimentata de’ soggetti. Serbassero dunque intatta o accrescessero l’acquistata gloria, come egli serberà costante il pensiero della loro prosperità, e come spanderà sopra i meritevoli generosa mercede e benefizii.

1l vascello inglese, retto da Nelson, sciogliendo con prospero vento, ricondusse il re a Palermo dove fu accolto fra feste sino allora non viste, quasi re che scampato da pericoli ritorni da guerra fortunata e portando pace. Aspettava tempo il destino di volgere in pianto vero le gioje adulatrici di quel popolo, e pianto prodottogli dall’uomo istesso e dalle sue ferità che pazzamente festeggiavano. Se dove mancano forze o sono sceme, la universale scontentezza si manifestasse per mestizia e disertando i luoghi dove si aspetta l’uomo abborrito, quella collera muta sarebbe sincera e convenevole a dignità di popolo; ma la virtù del silenzio, comunque facile e sicura, è tenuta insopportabile dagli uomini molli e corrotti della nostra età. Cosicchè Ferdinando applaudito in Sicilia l’anno 1799 della tirannide esercitata su i Napoletani, e poi da questi l’anno 1816 della servitù ricondotta in Sicilia, vide l’agevolezza di soggiogare i due popoli stolti.

Ma non i premii o le promesse del re, nè la disciplina ormai tardiva del cardinale bastavano a moderare i borboniani nella città; le sfrenatezze, a capriccio di plebe, crescevano o scemavano; cedevano talvolta da stanchezza, e risorgevano maggiori per lievi occasioni o mal talento. Bisogno di guerra esteriore venne opportuno ad allontanare dal regno quelle torme per menarle a Roma, con la speranza nel re di cacciarne i Francesi, e ne’ guerrieri cristiani di spogliare la città santa e tornar pieni di novello bottino. Mossero sotto l’impero di Rodio che si chiamava negli editti gererale dell’esercito della santa fede e dottore dell’una e dell’altra legge,