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LIBRO QUINTO — 1799. 269

chi assist all’innalzamento dell’albero della libertà nella piazza dello Spiritosanto dove fu atterrata la statua di Carlo III; e chi nella piazza della reggia operò o vide il distruggimento delle immagini regali o delle bandiere borboniane ed inglesi. E reo di morte que’ che scrisse o parlò ad offesa delle persone sacre del re, della regina, della famiglia. E rei di morte coloro che avessero mostrata empietà in pro della repubblica, o a danno della monarchia.

Quarantamila cittadini, a dir poco, erano minacciati della pena suprema, e maggior numero dell’esilio; col quale si castigavano tutti gli ascritti a club, i membri delle municipalità, gl’impiegati nella milizia benchè non combattenti. E infine, chiamando colpevoli anche le guardie urbane coscritte, senza il concorso della volontà, per forza di magistrati e di legge, il re diceva giusto il loro imprigionamento, e necessario a liberarle il suo perdono. La giunta di stato nella città, i commissarii regii col nome di visitatori nelle province, punirebbero i rei tenendo in mira di purgare il regno da’ nemici del trono e dell’altare. Furono visitatori il cavaliere Ferrante, il marchese Valva, il vescovo Lodovici, i magistrati Crescenzo de Marco, Vincenzo Marrano, Vincenzo Jorio. Ad ogni visitatore fu dato un compagno ne’ giudizii; sì che tribunale di due giudici pronunziava della vita, della libertà, de’ beni di numerosi popoli.

III. Così prestabilite le scale dei delitti e delle pene, con legge detta in curia retroattiva, perciocchè le azioni la precedettero; e scelti a grado i magistrati bisognavano le regole del procedimento. Quelle de’ nostri codici non bastando al segreto ed alla brevità, furono imitate le antiche dei baroni ribelli della Sicilia, ed erano: il processo inquisitorio sopra le accuse o le denunzie; i denunziatori e le spie validi come testimonii; i testimonii ascoltati in privato, e sperimentati, a volontà dell’inquisitore, co’ martorii ; l’accusato solamente udito su le dimande del giudice, impeditegli le discolpe, soggettato a tortura. La difesa nulla; un magistrato scelto dal re farebbe le mostre più che le parti del difensore; il confronto tra l’accusato eè i testimonii, la ripulsa delle pruove, i documenti e i testimonii a discolpa, tutte le guarentige della innocenza, negate. Il giudizio nella coscienza dei giudici; la sentenza breve, nuda, sciolta dagl’impacci del ragionamento, libera come la volontà; e quella sentenza inappellabile, emanata, letta, eseguita nel giorno istesso. Ma per quanto le forme fossero brevi, essendo assai maggiore la voluta celerità delle pene, il re nominò altra giunta, detta dei generali; e ad occasione in città e nelle province tribunali temporanei e commissioni militari, le quali sul tamburo, ad horas et ad modum belli, spedissero i processi e le condanne.

Tali asprissime leggi dettava il re, quando al terzo giorno dopo