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LIBRO QUARTO — 1799. 231

luogotenente e vicario del regno. uscì di Bagnara circondato da stuolo numeroso e disonesto, col quale, senza guerra, soggettò per grido le città o terre sino a Mileto. Dicevasi che la forte città di Monteleone tenesse le parti di repubblica: ma intimata di cedere e minacciata di esterminio, riscattò la fama per denaro, cavalli, viveri ed armi. Stando il cardinale a Mileto, convocò quanti poteva vescovi, curati, altri cherici di grado, e antichi magistrati del re, e militari, e impiegati, e cittadini potenti per nome o ricchezza; ed esponendo i ricevouti carichi, la causa giusta del trono, santa della religione, bandì che i cittadini fedeli al re, devoti a Dio dovessero unirsi a lui, portando al cappello per insegna e riconoscimento la croce bianca e la coccarde rossa de’ Borboni; avrebbero oltre i premii celesti, le esenzione delle taglie fiscali per sei anni, e i guadagni della guerra sopra i beni de’ ribelli da quel giorno medesimo incamerati alla finanza regia, e su le taglie che sarebbero poste alle città o terre contrarie; abbattuti gli alberi infami della libertà, alzerebbero in que’ luoghi le croci; l’esercito si chiamerebbe della Santa Fede, per dir col nome l’obbietto sacro di quella guerra. E poscia processionando nella chiesa, e benedicendo ad alta voce le armi, progredì, non mai combattendo, sempre trionfatore, per Monteleone e Cutro, sopra Cotrone.

Cotrone, città debolmente chiusa, con piccola cittadella sul mare Ionio, era difesa da’ cittadini e da soli trentadue Francesi, che venendo d’Egitto, si erano là riparati dalla tempesta; ma comunque animoso il presidio, scarso d’armi, di munizioni e di vettovaglie, assalito da molte migliaja di borboniani, dopo le prime resistenze dimandò patti di resa; rifiutati dal cardinale, che non avendo danari per saziare le ingorde torme, nè bastando i guadagni poco grandi che facevano sul cammino, aveva promesso il sacco di quella città. Cosicchè dopo alcune ore di combattimento ineguale, perchè da una parte piccolo stuolo e sconfortato, dall’altra numero immenso e preda ricca e certa, Cotrone fu debellata con strage de’ cittadini armati o inermi, e tra spogli, libidini e crudeltà cieche, infinite. Durò lo scompiglio due giorni; e nella mattina che seguì, alzato nel campo altare magnifico e croce ornata, dopo la messa che un prete guerriero della Santa Fede celebrò, il cardinale, vestito riccamente di porpora, lodò le geste de’ due scorsi giorni, assolvè le colpe nel calore della pugna commesse, e col braccio in alto disegnando la croce, benedisse le schiere. Dipoi, lasciato presidio nella cittadella, ed a’ dispersi abitanti (avanzi miseri della strage) nessun governo e non altre regole che la memoria e lo spavento de’ patiti disastri, si partì per Catanzaro, altra città di parte francese.

Giunto a vista, inondando delle sue truppe le terre vicine, mandò ambasciata di resa. Ma Catanzaro, sopra poggio eminente, cinta di