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LIBRO QUARTO — 1799. 227

timenti giornalieri, stragi continue. Nelle quali domestiche sventure due casi avvennero degni di ricordanza. La piccola città di Picerno, che avea festeggiato con sincera allegrezza il mutato politico reggimento, assalita da’ borboniani sbarrò le porte; e ajutandosi del luogo, allontanò più volte gli assalitori. Sino a che, declinando le sorti universali della repubblica, torme più numerose andarono all’assedio; e fu agli abitanti necessità combattere dalle mura. Finita dopo certo tempo la munizione di piombo e consultato del rimedio in popolare parlamento, fu stabilito che si fondessero le canne d’organo delle chiese, poscia i piombi delle finestre, in ultimo gli utensili domestici e gl’istrumenti di farmacia; con i quali compensi abbondò il piombo come abbondava la polvere. I sacerdoti eccitavano alla guerra con devote preghiere nelle chiese e nelle piazze; i troppo vecchi, i troppo giovani pugnavano quanto valeva debilità del proprio stato; le donne prendevano cura pietosa de’ feriti; e parecchie, vestite come uomini, combattevano a fianco de’ mariti o fratelli; ingannando il nemico meno dalle mutate vesti che per valore. Tanta virtù ebbe mercede, avvegnachè la città non cadde prima che non cadessero la provincia e lo stato.

Presso a Picerno, in Potenza, città grande, oggi capo della provincia, era vescovo Francesco Serao, lo stesso rammentalo con debita lode nel secondo libro di queste istorie: il quale già travagliato per giansenista dalla santa sede, sostenuto in quel tempo dal re, ma poi, per mutata politica di governo, venutogli a tedio, era tenuto settario di repubblica e de’ Francesi. Cosicchè ai primi tumulti assalito nella casa vescovile, trovato in atto di preghiera innanzi alla croce, fu trascinato nella strada, ucciso, troncato del capo, e ’l capo in punta di lancia portato in giro per la città. Furono i manigoldi pochi di numero, diciassette, nessun plebeo. Un cittadino di Potenza, Niccolò Addone, ricco, fiero per natura, devoto della cristiana religione, amante di repubblica, ma occulto perchè temeva nelle dubbietà di quello stato arrischiare le sue ricchezze, quando vide lo spettacolo atroce, giurò vendicarlo: e nol potendo apertamente, usò d’inganni. Conciossiachè fingendosi borboniano, allegro della morte del vescovo, chiamò a convito gli uccisori, e, dopo lauta mensa e bevere trasmodato, tutti gli spense; nè già di veleno ma di ferro, e più col braccio proprio che de’ suoi fedeli, che pure a mensa o nascosti nella casa attendevano il comando della strage. Orrida scena, che spiacque a’ partigiani medesimi di repubblica; e l’Addone, ciò visto, fuggì di Potenza, e tenutosi lungo tempo ne’ boschi, si riparò in Francia. Anni appresso, perdonato di que’ misfatti per decreti del nuovo re Giuseppe Bonaparte, tornò in regno; e l’età nostra lo vide accusatore calunnioso di delitti di maestà, a