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LIBRO QUARTO — 1799. 219

Calabria erano prodate da’ navilii siciliani ed inglesi. Crebbe il prezzo al pane; tanto più sentito per i perduti guadagni della plebe, per il gran numero di servi congedati, per le industrie sospese, per la malvagità di quelle genti che speravano nelle disperazioni del popolo. Ma i governanti stavano sereni, confidando nello zelo de partigiani ricchi di granaglie, ne’ compensi di governo libero, nella rassegnazione e nel merito di patir male per amar la patria. Erano Virtù dei reggitori, che, poco esperti della mala indole umana, Le credevano universali; e però intendendo che bastasse a tutti i disegni far certo il popolo della bontà di quel reggimento, spedivano patriotti a sciami per concionare e persuadere. Motivo di mestizia e di sdegno era quindi udire ne’ mercati, vuoti di ricchezze e di negozii, oratore imberbe discorrere i benefizii della repubblica; e con eloquenza spesso non propria ma voltata dalle arringhe francesi, nè mai sentita da volgari uditori pieni di contrarie dottrine, presumere di acquetare i lamenti e i bisogni della plebe. Oratore fra tutti più saggio e più inteso era quel Michele il Pazzo, capo del popolo ne’ tumulti della città, pacificatore all’arrivo di Championnet, e, mutate le cose, alzato al grado di colonnello francese, e spesso mandato ambasciatore alle torme de’ popolari. Arringava in plebeo, solo idioma ch’ ei sapesse; da poggiolo o scranna per mostrarsi in alto, non preparato; permettendo la disputa o le risposte. Diceva un giorno: «Il pane è caro perchè il tiranno fa predare le navi cariche di grano, che ci verrebbero da Barberia, che dobbiamo far noi? Odiarlo, sostenergli guerra, morir tutti piuttosto che rivederlo nostro re; ed in questa penuria guadagnar la giornata faticando per non dargli la contentezza di sentirci afflitti.»

Ed altre volte:

«Il governo d’oggi non è di repubblica, la repubblica si sta facendo: ma quando sarà fatta, noi idioti la conosceremo ne’ godimenti, o nelle sofferenze. Sanno i saccenti perchè mutano le stagioni, noi sappiamo di aver caldo o freddo. Abbiamo sofferto dal tiranno guerra, fame, peste, terremuoto; se dicono che godremo sotto la repubblica, diamo tempo a provarlo.

Chi vuol far presto semina il campo a ravanelli, e mangia radici; chi vuol mangiar pane semina a grano e aspetta un anno. Così è della repubblica; per le cose che durano bisogna tempo e fatica. Aspettiamo.»

Dimandato da uno del popolo che volesse dir cittadino, rispose: «Non lo so, ma dev’essere nome buono, perchè i capezzoni (così chiama il i capi dell stato) l’han preso per sè stessi. cittadino, i signori non hanno l’eccellenza, e noi non siamo lazzari; quel nome ci fa uguali.»