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216 LIBRO QUARTO — 1799.

menti o de’ cantoni, e talvolta delle comunità: scambiati i nomi; creduto città un monte e fatto capo di cantone; il territorio di una comunità spartito in due cantoni; certi fiumi addoppiati, scordate certe terre; in somma, tanti errori che si restò all’antico, e solo effetto della legge fu il mal credito de’ legislatori.

Ma buona legge sciolse i fidecommessi, libertà desiderata per i libri del Filangieri, del Pagano, di altri sapienti; e produttrice di effetti buoni, quanto comportavano le sollecitudini di quello stato. Molte comunità avevano lite co’ baroni; molte più rodevano i freni del vassallaggio; e perciò quelle, e queste, ed altre tirate dagli esempii, invadendo a modo popolare i dominii feudali, e spartendoli a’ cittadini, vendicavano con gli eccessi delle rivoluzioni gli odii proprii e degli avi. Piacque al governo quel moto, e dichiarando abolita la feudalità, distrutte le giurisdizioni baronali, congedati gli armigeri, vietati i servigi personali, rimesse le decime, le prestazioni, tutti i pagamenti col nome di diritti, promise legge nuova, giusta per i comuni e per i già baroni; senza vendicare, come natura umana consiglierebbe, le ingiurie patite da’ feudatarii. Dopo la quale promessa, il governo attese all’adempimento; ma intrigato nelle vicendevoli ragioni, non mirando che alla giustizia ideale, trovando intoppo quando ne’ possessi e quando ne’ titoli, quella legge, lungamente discussa, non fu mai fornita; e di tutti i rappresentanti maggior sostenitore de baroni fu quello stesso Mario Pagano, avverso a loro nelle dottrine, scrittore filosofo, pusillanimo consigliere, ottimo legislatore in repubblica fatta, impotente come gli altri ventiquattro del governo a fondar nuova repubblica.

Altro indizio di popolare avversione si manifestò per le cacce regie; avvegnachè i cittadini al sentirsi liberi, uccisero le bestie, svanirono i confini; e spregiando le ragioni della proprietà, recidevano i boschi, piantavano a frutto ne’ campi, dividevano come di conquista le terre. Così che il governo dichiarò le cacce, già regie ora libere, terreni dello stato; le guardie, sciolte. Per altri editti prometteva la soppressione de’ conventi, la riduzione de’ vescovadi, la incamerazione delle sterminate ricchezze della chiesa: benefizii non sentiti dall’universale, come dimostrava il rispetto mantenuto intero ne’ tumulti o cresciuto alla chiesa ed al clero. L’abolizione de titoli di nobiltà, l’atterramento delle immagini e de’ fregi de’ passati re, il nome di nazionali alle cose già regie, il nome di tiranno alla persona del re Ferdinando, furono subbietti di altre leggi, volute dal proprio sdegno, o imitate ne’ fatti della Francia.

Provvedevano nel tempo stesso alle altre parti del politico reggimento. La finanza disordinata, come ho mostrato nel precedente libro, venuta in peggio da’ succeduti sconvolgimenti, più inquieta per la urgenza de’ bisogni e de’ casi, fu la maggior cura del gover-