Pagina:Storia del reame di Napoli dal 1734 sino al 1825 I.pdf/219


LIBRO TERZO — 1799. 209

rale, che speditamente parlava l’idioma d’Italia, fu inteso e applaudito. Era tra i presenti quel Michele il Pazzo, scelto capo, come ho riferito, dei lazzari, il quale pregando al generale che fosse posta guardia di onore a san Gennaro, subito ottenne che due compagnie di granatieri andassero alla cattedrale; le quali tra lazzari napoletani, che precorrendo gridavano viva i francesi, facevano sentire altamente, rispetto a san Gennaro! Non mai la fama fu più rapida; da un punto all’altro della vasta città si narravano que’ fatti. si ripetevano quelle voci di concordia, mentre su le rocche sventolava la insegna de’ tre colori, e le bande musicali francesi sonavano ad allegrezza; era il cielo brillantissimo, come suole in Napoli nel gennaro. Caddero le armi di mano al popolo: belva, furibonda o mansueta, a gioco di fortuna; facile alla libertà ed al servaggio; proclive meno al moto che alla pazienza; materia convenevole al dispotismo. Cessato il romore di guerra, uscite da nascondigli le appaurite genti, il generale Championnet fece ingresso magnifico, pubblicando editto in questi sensi:

«Napoletani! siete liberi. Se voi saprete godere del dono di libertà, la repubblica francese avrà nella felicità vostra largo premio delle sue fatiche, delle morti e della guerra. Quando ancora fra voi alcuno amasse il cessato governo, sgomberi di se questa libera terra, fugga da noi cittadini, vada schiavo tra schiavi. L’esercito francese prenda nome di esercito napoletano, ad impegno e giuramento solenne di mantenere le vostre ragioni, e trattar per voi le armi, ogni volta giovi alla vostra libertà. Noi Francesi rispetteremo il culto pubblico, e i sacri diritti della proprietà e delle persone. I vostri magistrati per paterne amministrazioni provvedendo alla quiete ed alla felicità dei cittadini, svaniscano gli spaventi della ignoranza, calmino il furore del fanatismo; sieno solleciti a pro nostro quanto lo è stata contro noi la perfidia del caduto governo.»

Durò la gioja. I repubblicani per le strade abbracciandosi e ricordando le sofferte pene, le benedicevano; gridavano i nomi di Vitaliano, Galiani, De Deo tra lacrime di tenerezza e di piacere; e patriotiche brigate accorrevano alle case de’ parenti loro, per consolarli dell’antico dolore. Tra le quali festive apparenze si rimoveva l’occhio e il pensiero da’ corpi morti delle due parti, che ancora ingomberavano le strade; mille. almeno Francesi; tremila o più Napoletani. Giunta la notte, furono vinte le tenebre dalle infinite luminarie della città; ed il monte Vesuvio, che da parecchi anni non gettava fuoco nè fumo, alzò fiamma placida è lucentissima come di festa; il quale spettacolo parve al volgo assentimento celeste, ed augurio di felicità; ma furono fallaci le apparenze. però che il tempo nascondeva sorti contrarie.

i. 14