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LIBRO TERZO — 1798. 195

atterrarle se non si aprissero. Ma da un fortino del campo, dove i cannonieri stiedero saldi alle minacce del nemico ed al malo esempio dei timorosi, partì scarica di sei cannoni a mitraglia vicina, ben diretta, che produsse molte morti nella colonna di cavalleria, procedente prima e superba; altri colpi tirarono i bastioni, e subito retrocedute le colonne assalitrici, e rianimate le guardie del campo, la battaglio fu rintegrata. Erano Napoletani gli artiglieri del fortino, e Napoletano il loro capo, giovine che trattava in quella guerra le prime armi, alzato dal generale Mack da tenente a capitano, in premio più del successo che del valore; perciocchè i cavalli francesi, e nè manco i fanti, potevano entrare nel campo, che aveva riparo, fosso, alberi abbattuti, e poi cannoni e presidio. I Francesi tornando agli assalti, tentarono passare il fiume a Cajazzo, guardato da un reggimento di cavalleria sotto il duca di Roccaromana. Respinti e perdenti nello intero giorno, viste le sorprese non bastevoli al desiderio, mutato consiglio, disposero espugnar la fortezza con il lento cammino dell’assedio. Avean perduto negli assalti di Capua e di Cajazzo quattrocento soldati, metà morti e feriti, cento prigioni; il generale Mathieu ebbe il braccio spezzato da mitraglia, il generale Boisgerard fu morto, il colonnello Darnaud prigioniero. E dalla nostra parte, cento soli più feriti che morti; e tra i feriti, il colonnello Roccaromana.

Giunti in quel mezzo dagli Abruzzi i generali Duhesme e Lemoine, riferirono i sostenuti travagli e gli impedimenti e gli agguati, la nessuna fede degli abitanti, le morti de’ Francesi troppe e spietate; il generale Duhesme portava ancor vive due ferite sul corpo; e narrando le maggiori crudeltà, citava i nomi spaventevoli dli Pronio e di Rodio. E poi che il generale Championmmet v’ebbe aggiunto la storia de tumulti e de’ fatti popolari di Terra di Lavoro, e ricordato i nomi già conti per atrocità di frà Diavolo e di Mammone, videro i generali francesi (adunati a consiglio nella città di Venafro) stare essi in mezzo a guerra nuova ed orrenda; essere stato miracolo di fortuna la viltà de’ comandanti delle cedute fortezze; e non avere altro scampo per lo esercito che a tenerlo unito, e per colpi celeri e portentosi debellar le forze e l’animo del popolo. «Sia quindi nostra prima impresa, conchiudeva il supremo duce di Francia, espugnare Capua in pochi dì; le schiere, le armi, le macchine di assedio si dispongano a campo in questo giorno, intorno alla fortezza.»

XXXIX. Peri quali provvedimenti superbivano le parti borboniche, vedendo gli Abruzzi liberi per valore proprio, e l’esercito di Francia radunato, non già, credevano, per mira o prudenza di guerra, ma per ritirarsi nella Romagna. Tanti successi di genti avventicce, paragonati alle perdite dell’immenso esercito di Mack,