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186 LIBRO TERZO — 1798.

Scarsi concetti. La figura della frontiera, la linea prolungata e sottile dell’esercito francese, la sua base in Lombardia, il numero delle nostre forze quasi triplo delle contrarie; invitavano a sfondare (come si dice in guerra) il centro; e assalendo per il fianco le sue ale nemiche, impedire che si ajutassero; e tagliare, se volesse fortuna, le ritirate nella Lombardia. Perciò, ne’ casi nostri, andava diviso l’esercito in tre corpi: ventisei mila uomini all’Aquila per attaccar Rieti a Terni; dodicimila su la strada Emilia per combattere o impegnare l’ala sinistra francese; ottomila nelle Paludi Pontine per incalzare le piccole partite della diritta; mentre che la legione della Toscana, senza nemico a combattere, coi popoli dalle sue parti, avrebbe corso il paese insino a Perugia, per appressarsi a noi ed ajutarci nelle vicende varie della guerra. Solamente così l’inesperto e nuovo esercito di Napoli poteva superare per ingegno strategico e propria mole l’agguerrita e felice oste francese. 1l resto della guerra dipendeva da’ preparati tumulti nel Piemonte e dalla venuta in Italia de’ Tedeschi.

Tali erano i consigli della ragione e dell’arte; ora narriamo i fatti. I corpi di Mack e di Damas, trentamila soldati, camminando sopra strade parallele, senza incontrare il nemico sollecito a ritirarsi, giunsero il ventinove di novembre a Roma; e il re, fatto ingresso pomposo, andò ad abitare il suo palazzo Farnese. I Francesi, lasciato piccolo presidio in Castel-Santangelo, si partirono, e con seco i ministri e gli amanti di repubblica; ma pur di questi alcuni confidenti alle regali promesse di clemenza, o arrischiosi, o dal fato prescritti, restarono; e nel giorno istesso furono imprigionati o morti; due fratelli, di nome Corona, napoletani, partigiani di libertà, rimasti con troppa fede al proprio re, furono per comando di lui presi ed uccisi. La plebe scatenata, sotto velo di fede a Dio ed al pontefice, spogliò case, trucidò cittadini, affogò nel Tevere molti Giudei, operava disordini gravi e delitti. Vergogne del vincitore; che assai tardi nominò a giunta di sicurezza i due principi Borghesi e Gabrielli e i marchesi Massimi e Ricci; la plebe allora fu contenuta. Sparirono i segni della oppressa repubblica; innalzando la croce dov’era l’albero di libertà, e congiugnendo in cima delle torri e de’ pubblici edifizii le immagini e l’armi del pontefice con le insegne del re delle Sicilie. Il quale spedì messi a Napoli per annunziare la vittoria e ordinare nelle chiese sacre preghiere in rendimento di grazie, al pontefice, dicendo: «Vostra santità sappia per queste lettere che ajutati dalle grazie divine e dal miracolosissimo san Gennaro, oggi con l’esercito siamo entrati trionfatori nella santa città di Roma, già profanata dagli empii, ma che fuggono spaventati all’apparire della croce e delle mie armi. Cosicchè vostra santità può riassumere la suprema e paterna potestà; che io