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184 LIBRO TERZO — 1798.

brevità del tempo; uomini coscritti nel settembre, venuti per forza nell’ottobre, muovevano alla guerra ne’ primi del novembre; sì che le braccia incallite a ruvidi esercizii della marra non rispondevano alle destrezze dell’armi.

I Francesi dalla opposta parte, quando videro gli apparecchi del re di Napoli, disposero la guerra, così che la frontiera fosse linea difensiva; centro in Terni, estrema diritta in Terracina, estrema sinistra in Fermo; l’ala manca assai forte da resistere, l’ala diritta solamente osservatrice; pronta meno a combattere che a ritirarsi, principale scopo il raccogliersi, e mantenere sicure le strade che menano in Lombardia. I nuovi consigli dagli eventi.

Così certa o non intimata la guerra, l’ambasciatore di Francia dimandò ragione delle vedute cose al governo di Napoli, che ancora fingendo rispose: tener guardata la frontiera napoletana perchè quella di Roma era ingombera di soldati francesi; stare ne’ campi le nuove milizie per istruirsi; egli bramar sempre pace con la repubblica. Ma giorni appresso, il 22 di novembre, comparve manifesto del re, che rammentando gli sconvolgimenti della Francia, i mutamenti politici della Italia, la vicinanza al suo regno de nemici della monarchia e del riposo, l’occupazione di Malta feudo de’ re di Sicilia, la fuga del pontefice, i pericoli della religione; per tante ragioni e tanto gravi, egli, guiderebbe un esercito negli stati romani, a fine di rendere il legittimo sovrano a quel popolo, il capo alla santa sede cristiana, e la quiete alle genti del proprio regno. Che non intimando guerra a nessun potentato, egli esortava le milizie straniere di non contrastare alle schiere napoletane, le quali tanto oltre avanzerebbero quanto solamente richiedesse lo scopo di pacificare quella parte d’Italia. Che i popoli di Roma fossero presti a’ suoi cenni, ed amici; sicuri nella sua clemenza, egli promettendo di accogliere con paterno affetto i traviati che tornassero volontarii all’impero della giustizia e delle leggi.

Così il manifesto. Lettere secrete de’ ministri del re concitavano gli altri gabinetti d’Italia o i personaggi più arrischiati alle nemicizie ed alla guerra. Delle quali lettere una del principe Belmonte Pignatelli, scritta al cavaliere Priocca ministro del re del Piemonte, intercetta e pubblicata, diceva tra le cose notabili: «Noi sappiamo che nel consiglio del re vostro padrone molti ministri circospetti, per non dire timidi, inorridiscono alle parole di spergiuro e di uccisione; come il fresco trattato di alleanza tra la Francia e la Sardegna fosse atto politico da rispettare. Non fu egli dettato dalla forza oppressiva del vincitore! non fu egli accettato per piegare all’impero della necessità? Trattati come questi, sono ingiurie del prepotente all’oppresso, il quale, violandoli, se ne ristora alla prima occasione che il favor di fortuna gli presenta,