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160 LIBRO TERZO — 1794.

dirono cha ad ogni moto di popolo i cannoni de’ castelli tirerebbero strage. Uffiziali di polizia travestiti, sgherri in abito, e spie a sciami si confusero nella folla. E fra tanti provvedimenti di sicurtà stavano i principi nel palagio di Caserta, più timidi ed ansanti de’ tre giovanetti che rassegnati morivano. Quelle mostre di timore produssero timor vero a’ cittadini; e sarebbe rimasta vota la piazza, se le atrocità non fossero come feste alla plebe; perciò fu piena. E poi che Galiani e de Deo furono morti, al salire del terzo sul patibolo, piccola mossa, della quale s’ignora il principio, allargata nel popolo, ingigantita da’ sospetti, pericolosa per le minacce e per gli apprestamenti che si vedevano ne’ soprastanti bastioni, tanta paura sparse in quelle genti, che nel fuggire alcuni restarono feriti, molti rubati, la piazza si vuotò, e i ministri della pena compierono nella solitudine l’uffizio scelerato.

XVII. Mesto anche per segni di natura l’anno 1794; parecchi uomini morirono di fulmine, un fulmine entrò in chiesa, un altro ruppe dentro al porto di Napoli gli alberi e l’armatura di un vascello nuovo (il Sannita), pronto a salpare per la guerra; un marinajo vi fu incenerito. Accaddero nelle nostre marine continui e miserevoli naufragi, molte morti in città d’ uomini grandi, morbi gravissimi. Così che finito quell’anno, auguroso per i creduli, si speravano tempi migliori; ma ne’ primi giorni dell’anno vegnente si udì la morte del principe di Caramanico, vicerè in Sicilia, con tali voci e opinioni che apportò ragionevole spavento ne’ due regni. Rammento in questo luogo che il principe di Caramanico propose alla regina la chiamata dell’Acton dalla Toscana; il quale, venuto in Napoli, piacque; poi geloso del benefattore (valendogli la prepotenza degli affetti nuovi), ottenne che il principe andasse lontano dalla reggia. Si tenne ch’ei morisse di veleno macchinatogli dal rivale, o preso per evitare a sè il dolore, al nemico il trionfo di essere menato nella fortezza di Gaeta come reco di maestà; di che avuto avviso per sicuri annunzii, volle schivare con la morte il pericolo e la vergogna. Alcuni fatti della casa del principe, molti provvedimenti, morte sollecita, segni (dicevano) di veleno, tempi tristi, grandezza di lui, maggior potenza di nemico malvagio, aggiungevano fede a’ racconti. Cresciuto l’odio pubblico per il ministro e per la regina, cominciato allora per il re (non bastando la infingardaggine a scusarlo de’ mali che si facevano col suo nome), circolavano contro tutti e tre dicerie plebee, spregianti la maestà de’ principi, ed incitatrici allo sdegno di quei potenti. Dopo la morte compianta del vicerè, l’universale sperando la caduta dell’odiato ministro per lo innalzamento del cavalier Medici, nobile di casato, sciolto come li vuole fortuna da’ ritegni della coscienza, e gia sul cammino della civile grandezza, rammentava il celere