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LIBRO SECONDO — 1790. 129

congreghe, la pace del regno fu sconvolta. De quali esempii il re incorava, ed attendeva ad introdurre nell’assemblea personaggi che sostenessero le prerogative del dispotismo.

XXXVI. I deputati nel prefisso giorno adunaronsi a Versailles, divisi d’animo, perciocchè la nobiltà ed il clero prevedendo ne’ precipizii dell’impero assoluto i proprii danni, ormai dolenti della palesata resistenza nell’assemblea de’ notabili e ne’ parlamenti, si avvicinavano al trono come che timidi e sconfidati, ma risoluti di sostenere i proprii diritti (così chiamando i privilegi) contro gl’impeti e la baldanza del terzo-stato, che veniva orgoglioso e potente di numero e di ragione. Durando le discordie, non si potè ridurre ad una le tre assemblee; e all’ultima sconvenendo il nome di terzo-stato, si chiamò assemblea dei comuni, poi nazionale. Lesse i mandati, e trovò che i commettenti dimandavano: il governo della Francia regio; la corona ereditaria in linea mascolina; la persona del re sacra, inviolabile; il re depositario del potere esecutivo; gli agenti dell’autorità responsabili; le leggi solamente valide quando fatte dalla nazione, confermate dal re; necessario a’ tributi l’assentimento nazionale; saecra la proprietà, sacra la libertà de’ cittadini. E tutti chiedevano che i presenti stati-generali dessero legge durevole al regno, e che le succcedenti convocazioni fossero certe e prefisse.

Questi erano i mandati e le speranze de’ Francesi l’anno 1789; documento e gloria di quella età e di quel popolo. Fu vista irreparabile la riforma dello stato, fuorchè dal re, da’ nobili, dal clero, accecati da’ diletti del dispotismo. Il 20 di giugno, impedita dalle guardie del re all’assemblea nazionale la entrata nella sala delle sue adunanze, ella, dopo inutile pregare, si ricoverò in un vasto edifizio destinato a giochi di palla; e là in piede (anche i vecchi e gl’infermi, un giorno intero) assunsero la stato, si dissero permanenti sino a che avessero dato alla Francia durevole statuto; e giurarono. L’adunanza, il luogo, la dichiarazione, il giuramento, erano primi atti di certa rivoluzione. Forza e mente a que’ moti fu Gabriele Onorato Ricchetti conte di Mirabeau, di seme italiano, nobile ma deputato del terzo-stato della Provenza, egregio per eloquenza e per i trovati della politica, passionato e campione di libertà, ma di quella che volevano i bisogni e i costumi della Francia. Altri uomiuni eccelenti si palesarono, ma le glorie più grandi che succedettero coprirono i loro onori; e di quel tempo restò solo in sublime, a spettacolo degli avvenire, il Mirabeau.

L’adunanza del 20 di giugno agitò il re e la corte. Il re annunziò per messaggio che il posdomani parlerebbe a’ tre stati uniti ad assemblea generale; e nel giorno seguente, chiamate numerose squadre di fanti e di cavalli, le accampò a modo di guerra intorno a Ver-

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