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128 LIBRO SECONDO — 1790.

letto di giustizia o libero congresso; e il re «È seduta regale.» Dopo la prima voce, altre più ardite si snodarono; ed esiliati dall’assemblea e dalla città, l’Orleans e gli oratori, la nuova legge fu registrata per comando. Ne’ consigli regali essendo deciso fiaccare ne’ parlamenti le cagioni e gl inizii della disobbedienza, menomare le facoltà giudiziarie di que’ magistrati, e cassar le politiche, il re creò nuova corte, detta Plenaria, di pari, prelati e capi militari; ed aspettava per pubblicar l’editto che Je milizie giungessero nelle sedi de’ parlamenti, e i ministri dell’autorità regia preparassero, le sorprese e le pene a’ contumaci.

Pratiche oscure; ma palesate al parlamento di Parigi, che spiando e comprando i custodi del segreto, contrappose all’editto con pubblico manifesto le instituzioni della Francia, i diritti del popolo e del parlamento, gli obblighi del re. Si levarono voci minaccevoli. Scompigli peggiori agitavano province, dove la scontentezza non era frenata dal timore; o ingannata dalle arti, o corrotta da doni della corte; ed in quel mezzo, negate le nuove imposte, mancato il prestito, cresciute le spese, disordinate le amministrazioni, era vuoto l’erario. Ne più bastando gli artifizi, il re, alla metà dell’anno 1788, tratto da ingrata necessità convocò gli stati-generali per il primo di maggio dell’anno seguente, e richiamò Necker ministro. Un grande avvenimento in prospetto arrestò le brighe del presente; ogni fazione pose speranza in quella vasta assemblea; lo stesso re vi confidava per il dispotismo.

Tra la chiamata e l’adunanza i giorni scorrevano per ogni setta solleciti ed operosi; ma più potè la setta de’ sapienti, che, disputando le quistioni di stato, palesavano ciò che è popolo e ch’è monarca, dove risiede la sovranità; che sono nella nazione clero, nobiltà, terzo-stato; che sono nella signoria magistrati e tributi; qual’è il cittadino, i suoi debiti, i suoi diritti; quanto debba valere nelle intenzioni delle leggi e nelle opere de’ reggitori la dignità dell’uomo. Per le quali dottrine la Francia conobbe il suo meglio civile, e lo bramò. La libertà di quel tempo non procedeva oltre la monarchia; gli uomini medesimi che un anno poi furono caldi seguaci di repubblica terminavano i ragionamenti e le speranze ad una camera rappresentante, ad altre forme che nulla offendevano le ragioni e la grandezza del monarca.

Gli stati-generali rammentavano tempi difficili ma onorati. Di quattordici assemblee numerate dalla storia, cominciando dall’anno 1302 sotto Filippo il Bello sino al 1614 sotto Luigi XIII, una sola, quella del 1560 fa romorosa ed inutile; le altre tredici apportarono al re quando soccorso avverso al pontefice, quando quiete nelle discordie della famiglia, e talora forza contro i nemici e spesso danari ai fisco impoverito: ma non mai tra gl’infiniti moti di tanto affollate