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LIBRO SECONDO — 1783. 117

vertendo le terre medesime, e tornando spesso allo scorperto materie ed uomini giorni avanti sotterrati. L’alta catena degli Apennini e i grossi monti sopra i quali siedono Nicòtera e Monteleone resisterono lungo tempo, e vi si vedevano fessi gli edifizii, non atterati, e mossa, non già sconvolta la terra. Ma il dì 28 di marzo di quell’anno medesimo, alla seconda ora della notte, fu inteso romor cupo come rombo pieno e prolungato: e quindi appresso moto grande di terra, nello spazio tra i capi Vaticano. Sùvero, Stilo, Colonno, 1200 almeno miglia quadrate, che fu solamente il mezzo dello scotimento, percioccchè la forza pervenne a’ più lontani confini della prima Calabria, e fu sentita per tutto il regno e nella Sicilia. Durò novanita secondi, spense duemila e più uomini; diciassette città, come le centonove della Piana, furono interamente abbattute; altre ventuna rovinate in parte ed in parte cadenti; i piccoli villaggi, subissati o crollanti, più che cento e quel che un giorno stava ancora in sublime, nel vegnente precipitava; imperocchè i moti durarono sempre forti e distruggitori, sino all’agosto di quell’anno, sette mesi: tempo infinito, perchè misurato per secondi.

XXVIII. I turbini, le tempeste, i fuochi de’ vulcani e degl’incendii, le piogge, i venti, i fulmini accompagnavano i tremuoti, tutte le forze della natura erano commosse; pareva che spezzati i legami di lei, quella fosse l’ora novissima delie cose ordinate. Nella nette del 5 di febbrajo, mentre scoteva la terra, l’aeremoto rompeva e balestrava le porti elevate degli edifizii; un campanile in Messina fu scapezzato, un’antica torre in Radicena fu mozzata sopra la base, ed un rottame (tanto massiccio che tiene in seno parte della scala) sta nella piazza dove fu lanciato, e lo mostrano per maraviglia al forestiero; molti tetti o cornici non caddero su le rovine del proprio edifizio, ma scagliati dal turbine andarono a colpire luoghi lontani. Intanto il mare tra Cariddi, Scilla e le piagge di Reggio e di Messina, sollevato di molte braccia, invadeva le sponde, e ritornando al proprio letto trascinava gregi ed uomini. Così morirono intorno a duemila della sola Scilla, i quali stavano sulla rena o nelle barche per campare da’ pericoli della terra; il prìncipe città, ch’era tra quelli, scomparve in un istante, nè i servi o i parenti, o le promesse di larghissimi premii poterono far trovare il cadavere per onorarlo di alcuna tomba. Enta e Stròmboli più del solito vomitarono lava e materie, disastri poco avvertiti perchè assai men gravi degli altri che si pativano; il Vesuvio durò nella quiete. Fuoco peggiore de’ vulcani veniva dagli accidenti del tremuoto, avvegnachè ne’ precipizii delle case, le travi cadute su i focolari bruciavano, e le fiamme dilatate dal vento apprendevano incendii tanto vasti che parevano fuochi uscenti dal seno della terra;