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LIBRO SECONDO — 1776-83. 113

pretensioni ardite e sterminate; ma pure si concordarono ventidue punti, rimanendo controversia su la nunziatura e per la elezione dei vescovi. Voleva il papa che avessero i nunzii giurisdizione, uomini armati, carceri; e in quanto a prelati che, proposti dal re, fossero da Roma riconosciuti degni ed accettabili per giudizio o almeno in coscienza del pontefice; formole tra le usate con le quali era stata per secoli esercitata la tirannide pontificale: perciò non accette. E tirando a lungo e a fastidio le contese, rotto il congresso, fu il Caleppi, nunzio e negoziatore, discacciato dal regno. L’ultima gloria del ministro Tanucci era stata l’abolizione della chinea; l’ultima del Caracciolo fu la descritta resistenza alla corte di Roma; quelle erano le libertà, l’ardire, il talento del tempo. Mentre duravano le discordie, si andava rammentando ad onore del ministro ch’egli da vicerè in Sicilia sbandì il santo-uffzio, ed applaudì al popolo palermitano che, impedito a distruggere il palazzo della inquisizione, ruppe in pezzi e disperse la statua in marmo di san Domenico, bruciò gli archivii, e atterrando le porte delle carceri condusse liberi e trionfanti gl infelici che vi stavano chiusi. Ne’ quali tumulti furono visti audacissimi ed implacabili i più anziani, canuti e curvi sotto al peso degli anni, ma che, ricordando l’atto-di-fede del 1724, raccontavano a’ giovani per più accenderli le sventure di Geltrude e di frà Romualdo, riferite nel primo libro di queste istorie. Così laudato dal mondo il ministro Caracciolo pieno d’anni morì.

La fortuna agevolava le ambizioni al cavalier Acton, il quale, vivente il Caracciolo, fu ministro per la marina; e piacendo alla regina, e secondando il genio del tempo e del governo, facevasi ammirare dalla corte, Fu, indi a poco, ministro per la guerra; e, morto il Caracciolo, ebbe carico degli affari esteriori. Scaltro per natura e pratico degli affetti umani, temeva il favore non appieno caduto del Caramanico, e la vicinanza nella reggia, le abitudini, le memorie; ma ottenne che il rivale fosse mandato ambasciatore a Londra, indi a Parigi, e infine vicerè nella Sicilia. Pur sospettava il giudizio del pubblico, e a farselo benigno lusingava i migliori del regno: mostravasi avverso alla feudalità; dileggiava gli ozii dei nobili; introdusse le scuole normali e le diffuse; soccorreva il commercio ristaurando i porti di Miseno, Brindisi e Baja; disegnando molte strade regie o provinciali; pubblicando per bandi la tolleranza religiosa in Brindisi e Messina. La condizione di straniero non gli toglieva rispetto dai Napoletani troppo usati a quella pazienza; e la scarsezza di personaggi adatti o ambiziosi di ministeri lo scampava da nemicizie gravi e da intoppi. Egli schivando per sè la cura pericolosa del denaro pubblico, ma sospettando che alcun ministro, ingrandito dalla grandezza dei bisogni, potesse vincerlo

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