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106 LIBRO SECONDO — 1776-83.

altri il quaranta o il cinquanta, e alcuni miserrimi il sessanta; si vedevano sostenute le decime feudali, le angarie, tutta la congerie degli abusi che dicevano diritti. Di modo che i paesi feudali si palesavano al primo vederli per la povertà delle case, lo squallore degli abitanti, la scarsità de comodi e delle bellezze cittadine; ivi mancavano tutti i segni della civiltà, casa di pubblici negozii, foro, teatro; ed abbondavano le note della tirannide e della servitù, castelli, carceri massicce, monasteri e case vescovili sterminate, altri pochi palagi vasti e fortificati tra numero infinito di tugurii e di capanne. Lo storico meritissimo Giuseppe Maria Galanti temeva dir cosa non credibile che nel feudo San Gennaro di Palma, distante quindici sole miglia (cinque leghe) da Napoli, visitato da lui nel 1789, abitassero in case i soli ministri del barone, e che il popolo, due mila uomini, si riparasse come bestie dalla inclemenza delle stagioni sotto graticci o pagliaje, e nelle grotte. Tal era la condizione de’ feudi; è frattanto in un reame che numera duemila settecento sessantacinque città, terre o luoghi abitati, soli cinquanta nel 1734, e non più di duecento nel 1789, non erano feudali. Ventura che i feudatarii, inciviliti dal secolo, vergognavano delle peggiori pratiche di padronaggio.

XX. Le riferite leggi su la economia dello stato furono le sole in 30 anni degne di memoria. l’amministrazione e la finanza durarono, come a’ tempi di Carlo, rozze e servili; non giovando a noi gli esempii di altri regni e della vicina Toscana, patria del Tanucci, dove Pietro Leopoldo promulgava l’affrancazione de’ possessi, la divisione delle terre, lo scioglimento delle servitù prediali, e (sua vera gloria) la libertà del commercio. Meglio in Napoli fu provvisto a’ giudizii ed a’ magistrati, parte di governo che appelliamo giustizia. Ristretta per nuovi provvedimenti la giurisdizione de’ baroni e ’l numero degli armigeri baronali, cresceva di altrettanto la potestà regia e comune; ma con essa l’autorità della curia, ormai sfrontatamente disonesta e pericolosa. Parecchie ordinanze intesero a frenare que’ vizii, soggettando i curiali a studii, ad esami, a discipline; moderandone l’avidità per tariffe, la malvagità per minacce; svergognandoli de’ nomi di cavillosi, ignoranti, scostumati. Ma non ostante valevano gli usi antichi, e la curia ingrandiva d’uomini d’ogni specie, anche di plebe, togati.

Furono i matrimonii sapientemente regolati da nuove leggi, le quali afforzando l’autorità paterna, vietando le querele di stupro per seduzione, invalidando le promesse e i giuramenti innanzi al sacerdote o all’altare, svanivano le insidie delle donne, le fughe degli sposi, i parentadi ineguali, con vantaggio de’ costumi e della quiete delle famiglie.

Statuto di maggior grido regolò i giudizii. Da che tra noi le magistrature sederono prime o più possenti tra gli ordini dello stato, elle,