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LIBRO SECONDO — 1776-83. 103

Ventotene, poi di Tremiti e Lampadusa. A’ coloni delle due prime, presi tra i poveri di famiglie oneste, fu concesso terre, vitto per certo tempo, ed istrumenti di agricultura e di pesca. Prosperarono. Furono coloni delle altre, ladri e vagabondi del regno, a giudizio precipitato di magistrati eletti dal re; e quelle perivano: il governo vi spediva nuovi coloni e troppi, che per crescer di numero peggioravano di costumi e di arti. Quelle istesse sollecitudini per la quiete pubblica diedero motivo a dividere la città in dodici rioni, e in ognuno stabilire magistrato vigilatore che per giudizi abbreviati condannasse alla prigionia, e più spesso al confino su le isole di pena. Colpivano quegli arbitrii gente di plebe disonesta; il regno si sgravò di molti tristi; la città migliorata ne godeva; ma poco appresso, per sospetti di maestà e per le usate licenze di sfrenato potere, mandati alle isole cittadini non giudicati nè rei, solo spiacenti al dispotismo, tornò dogliosa e atterrita la città e il regno.

Un camposanto fu murato nel luogo prima detto Pichiodi, poi Santa Maria del Pianto; di tante fosse quanti sono i giorni dell’anno. Vi erano trapassati i corpi della povera gente, perciocchè i ceti maggiori verzognandosi di quel luogo interravano i loro morti nelle chiese della città. L’architetto cavalier Fuga diede il disegno del cimitero, che per danari provveduti dalla pietà fu compiuto in un anno.

Utilissima delle instituzioni fu il regio archivio; di che il primo Ferdinando di Aragona, sin dal 1477, ebbe il pensiero; l’ebbero Carlo V nel 1533, Filippo III nel 1609; ma la incostanza de’ principi o le contrarietà di fortuna impedirono l’effetto sino a Ferdinando Borbone che nel 1785 compiè l’opera. E comandato che gli atti generanti azione ipotecaria serbassero nell’archivio memoria e registro, resa chiara la proprietà, certa la ipoteca, pronta la vendita de’ beni ascritti, assicurò i creditori, costrinse i debitori a rispondere del promesso pagamento. Il sistema ipotecario, meritamente lodato nel codice Napoleone, era in gran parte raffigurato, trent’anni prima, nell’archivio regio di Ferdinando; questo invero fu meno vasto, poco precettivo, niente avaro; il francese, ampio, forzante, fiscale. L’archivio manifestava il patrimonio di ogni casa, impediva le frodi, scemava i litigi; perciò gli si opponevano i curiali, potenti già, come ho riferito nel regno di Carlo, più potenti al tempo del quale scrivo. E questi, o ministri del re, o magistrati, capi ed uffiziali dello stesso archivio, turbavano l’effetto della provvida legge, comunque dalle cure incessanti del governo mantenuta. E così toglievano gran bene alla società, tornando i debiti e le ragioni all’antico scompiglio.

XVIII. E dirò più gravi errori della finanza. Regnante Carlo, i denari della Spagna, i guadagni della conquista, poi la pace e sem-