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218 CAPO XXIV.

quale ponevasi colle necessarie formalità il defunto nella sepoltura suffragato con preci, offerte, libamenti, odoriferi profumi, e ogni altro miglior rimedio che si addiceva al sito dei mani. Tra i suffragj dell’anima occorreva spesso anche il convito funebre1, qual simbolo sensuale de’ godimenti riserbati nell’altra vita: e tutto ciò che avea servito alla mensa consacrata, piattelli, vasi, coppe, anfore, fiale, tazze da bere, pare si lasciasse per religione nella tomba allato del morto, a giudicarne almeno dalla quantità di tali stoviglie dì terra dipinte o non dipinte, nobili e volgari, che tuttodì si ritrovano abbondantissime per entro i sepolcri. Grande era la cura e il pensiero di custodirli inviolati sotterra: il tremendo dio infernale vi si mostrava come guardiano del luogo sotto forme mostruose e terribili2: nè v’appariva meno, a talento di chi ordinava il sepolcro, qualunque altro simbolo figurato che per valido riparo avesse convenienza alcuna con la terribile Nemesi. Tutti grandi spauracchi al malvagio violatore con i quali studiava ciascuno salvare sue reliquie da empia profanazione3. Se l’istoria d’un popolo tuttavolta si debbe ricercare, come insegna Tucidide, anco ne’ suoi sepolcri, si vuol qui ricogliere che a malgrado di tante solennità nell’esequie non si

  1. Vedi tav. lxviii. 1., cvii.
  2. Vedi tav. cii. lix. 2. 3.
  3. Frequente era la violazione da per tutto: pochi sono i sepolcri della necropoli di Vulci che non si trovino frugati e derubati dai malandrini antichi.