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CAPO XXIII. | 199 |
bertà acquistate, certe altre sicurezze, certe virtù, che quest’ordine medesimo di cose ci fu proprio e domestico. Anzi la patria nostra contribuì non poco ella stessa ad aggiungere qualcosa di suo fondo1 alla massa comune del tesoro umano. Sicuramente l’Etruria fu la sorgente delle migliori istituzioni politiche e religiose di Roma. Tutt’ora, nel quinto secolo, la nobile gioventù romana s’ammaestrava unicamente nelle lettere etrusche, come di poi costumava erudirsi nelle greche2. E quando alla fine tutta la letteratura latina prese faccia ellenica, nè pure cessarono le discipline etrusche d’essere coltivate e prezzate dai savi. Col nome di etruschi filosofi troviamo rammentati Tutilio, Aquila, Musonio, Umbricio, Cecina, Cornelio Tosco l’istorico, ed altri moltissimi3: i quali serbarono e mantennero lungo tempo in onore l’antica, benchè poco più curata sapienza. Così ancora Seneca, a malgrado del secolo sì guasto, rende egli stesso grato encomio ad Attalo, suo maestro, perch’ei sapeva mischiare col ragionamento sottile dei Greci la solida scienza degli Etruschi4.
- ↑ Gens ac terra domestico nativoque sensu, dice Cicerone. De Harusp. respons. 9.
- ↑ Habeo auctores, vulgo tum romanos pueros, sicut nunc graecis, ita etruscis litteris erudiri solitos. Liv. ix. 36.
- ↑ Vedi l’elenco degli scrittori dato da Plinio nel L. i.
- ↑ Attalus noster egregius vir, qui Etruscorum disciplinam Graeca subtilitate miscuerat. Senec. Quest. nat. ii. 50.