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CAPO XXIII. 187

natori s’attribuissero anche la facoltà di poter far discendere a voglia loro le folgori dal cielo. Negli annali etruschi, dettati è vero dai sacerdoti, si narrava, benchè con mistura di favola, essersi ciò praticato felicemente, e per ben pubblico, dai Volsiniesi1. Ma questo vanto tendeva evidentemente a superstizione, anzichè a scienza fisica. E la leggenda stessa, che Numa avesse imparato da Fauno, o da Pico, le congiurazioni necessarie onde costringere Giove a manifestare il modo di tirare in terra le folgori, ha dovuto essere una favola d’origine etrusca2. Non ostante ciò vuolsi tenere qualche conto d’una opinione sì universalmente radicata nell’antichità, e mantenutasi viva per tanti secoli fino ai bassi tempi de’ Goti: essendo vero che durante il primo assedio di Roma3, Pompejano, prefetto della città, presupponeva egli stesso che i divinatori etruschi avrebbono potuto trar per forza le saette dalle nuvole, e vibrare contro il campo de’ barbari quelle celesti fiamme4.

La medicina considerata qual cosa sacra data all’uomo per rivelazione, e affidata nella pratica ai soli preti, era parimente uno dei grandi arcani del sacerdozio. Anzi un potentissimo sussidio del governo teo-

  1. Plin. ii. 53: tradit L. Piso gravis aucthor.
  2. Plutarch. Numa.; Varro l. l. v.; Ovid. Fast. iii. 327 sqq.; Plin. ii. 53.
  3. An. 408 dell’era volgare.
  4. Zosim. v. p. 355. Γερατικοὺς: chiama quel pagano i libri etruschi fulgurali.