Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
20 | CAPO I. |
con giusta critica, e forse con tutta verità, un punto di storia fondamentale indispensabile a rintracciare, quanto almeno è possibile sopra un terreno sì scabroso, la natural cognazione dei popoli, primi abitatori e coltivatori d’Italia: ciò è, che l’appellativo stesso di Aborigeni, comunemente adoperato nel buon secolo della letteratura latina, non si limitava già a denotare una razza particolare, nè di origini straniera posata soltanto ne’ luoghi intorno al Tevere, siccome narravano taluni cronisti di Roma, ma sì bene, con appropriata significazione generica, valea quanto dire l’università delle genti natie in istato ancor mobile o semibarbaro di colleganza1.
Non altro concetto ebbero gli antichi de’ loro padri Aborigeni, che quello appunto di popol selvaggio, a cui attribuivano una vita dura agreste e faticosa. E in questo veggiamo, che i ragionatori filosofi dell’antichità speculavano niente meno acutamente che i moderni sopra il natural progresso dell’uomo dalla sua ferina salvatichezza a stato civile. Al giudizio di loro le vaste boscaglie, che ricoprivano l’incolto suolo, sovvenivano al nutrimento con l’annua riproduzione de’ frutti della querce2 e di altri pochi vegetabili: in quella guisa, che molte genti della zona torrida e delle temperate, da alcune piante indigene traggono il bisognevole alla