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la catastrofe del monte cervino 33

scalini nella neve o nel ghiaccio, era tutto inteso ad assicurare le mosse dell’Hadow, prendendogli le gambe perchè i piedi trovassero dove postarsi».

«Pare», scrive il Whymper, «che Michele Croz, dopo aver fatto ciò, si volgesse per continuare la discesa. In quell’istante mancò il piede all’Hadow, che cadde sopra il Croz e lo rovesciò sul pendio. Sentii un’esclamazione, distinsi la voce del Croz e lo vidi precipitare coll’Hadow. In un batter d’occhi stramazzo anche l’Hudson, e dietro ad esso lord Douglas. Fu un attimo appena; ma il grido del Croz avvertì il Taugwalder figlio e me di stringerci con tutto lo sforzo possibile alle rocce. La corda era tesa fra noi due, e la stretta ci colpi come fossimo un solo. Noi resistemmo; ma la corda si spezzò fra il padre Taugwalder e lord Douglas. I quattro infelici, Michele Croz, l’Hadow, l’Hudson e il Douglas, tutti in un fascio, orribilmente abbandonati al proprio peso, precipitarono da un’altezza di 1200 metri a sfracellarsi sul ghiacciajo del Cervino (Matterhorn-Gletscher), un di quei che si diramano appiè della spaventosa piramide»1.

«I tre superstiti uscirono salvi da quella catastrofe; ma con che cuore, potete imaginarvelo. I pii montanari si unirono per l’ardua impresa di raccogliere le reliquie dei quattro sventurati;

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  1. Il disegno mostra di fronte il gran Ghiacciajo di Furgen colle sue belle morene, e alla destra il Ghiacciajo del Cervino, Sull’altro declivio, ma nascosto dai primi rilievi della base in cui si prolunga, lo spigolo che divide in due parti il declivio Svizzero. Ora il lettore potrà intendere e, spero anche, gustare il breve apologo col quale il Rambert alluse a questa catastrofe, e di cui mi sono studiato di conservare le native bellezze nel tradurlo. Il poeta simboleggia nella fisica struttura del Cervino la superbia indomabile, a cui di nulla cale purchè sovrasti, e che d’altro non si duole fuorchè dell’altrui preminenza.

    Il Monte Rosa e il Cervino.

    Mentre il bujo notturno il mondo ingombra
    Udissi il Rosa volgersi al Cervino:
    «Che rantoli mai tu, chiuso nell’ombra,
    Maledetto fratel, fosco vicino?

    Le tue vittime sogni? od il sentiero
    Ti punge, che a te pure incise il fianco?
    Sogni l’ossa acciaccate e il sangue nero
    Che l’irte rupi tue lorda puranco?»

    «Che importa a me delle formiche umane?
    Di que’nani?» risponde l’omicida;
    «Sognavo.... oh rabbia! cime più sovrane
    La cui fronte più in alto il ciel disfida!»

    Mentre almanaccavo questi versi, parendomi naturalissimo che le montagne si parlino anche da un continente all’altro, mi sembrò di sentire il Gorishanta dar sulla voce al Cervino. Il Gorishanta (detto anche Gaurisankar o Gauriscnaka o Monte Everest, dal maggiore Everest che ne misurò l’altezza ) è il picco più alto dell’Hi-