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28 serata ii

rito a dire ch’egli giudica di prima impressione e con molta leggerezza le ascensioni sull’Alpi. Noi sentiamo invece di non poter mai negare una certa ammirazione a chiunque affronti pericoli, si esponga a disagi inauditi, sostenga diuturni patimenti; noi ammireremo sempre la forza dell’animo, l’energia della volontà, così scarse nel genere umano, e, più che in altri, nei popoli meglio inciviliti. Diffideremo sempre del gracchiare che fa dall’immondo stagno la rana all’aquila che si libra nelle regioni luminose del cielo. Ma la nostra ammirazione istintiva si cambierà in lode ragionata per chi si arrampica sulle più ardue vette, non già per mero diletto o, se volete, per meschina vanagloria, ma per amor del sapere, come fa il nostro ingegnere Giordano, la cui salita al monte Cervino fruttò alla scienza, oltre le osservazioni barometriche, nientemeno che l’intera geologia di quel colosso dell’Alpi».

«La scienza è dunque un motivo sufficiente d’arrischiare la vita?» insistè la terribile interlocutrice.

«Quando dico scienza, non intendo nè vanagloria di sapere, nè brama di far parlare di sè, nè altre debolezze, che non valgono la pena d’arrischiarci nemmeno un capello. Scienza mi dice amore del vero, bene dell’umanità, in tanti casi dovere; insomma tante cose che possono meritare ed anche imporre il sacrificio della vita. Ma si potrebbe egli arrischiare la vita per qualunque ragione scientifica, per sapere, per esempio, se quella cima di monte è di granito, piuttosto che di serpentino, o se il barometro vi segna tre mila metri piuttosto che tremila e dieci? Voi mi proponete un quesito di morale molto complicato che mi sciuperebbe una selva di se e di ma; ed io non mi sento in lena di farvi un lago di teologia. Parmi anzi che in questo caso giovi meglio troncare che sciogliere il nodo della questione.

5. » Chi vi dice che a salire in groppa a una montagna, a toccare una cima non mai segnata da piede umano, si arrischi, assolutamente parlando, la vita, quasichè bisognasse inerpicar visi come i gatti, come le mosche? Diamine, sarebbero pazzi, più che temerari, coloro! Tentare una difficile ascensione, vuol dire accingersi ad un’impresa difficile con tutti i mezzi che l’intelligenza può suggerire all’uomo. L’alpinista deve possedere in grado eminente due belle virtù: la prudenza e il coraggio. Da queste, non dalla temerità nè dalla paura, deve ogni uomo prendere la misura del suo ardimento. Ormai del salire sull’Alpi s’è fatta un’arte vera, una vera scienza se volete, nello stessissimo senso