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coraggio e temerità


«Potrebbero esserlo senza dubbio. Per me è temerario colui che si accinge ad un’impresa con mezzi sproporzionati allo scopo. La temerità è quindi affatto relativa alle forze nostre ed ai sussidî con cui ci avventuriamo al cimento. Se io, per esempio, pacifico cultore del mio scrittojo, m’avventurassi un tratto a fare una passeggiata sulla gronda, sarei pazzo o temerario; ma nessuno dice nè temerario, nè pazzo il muratore o il pompiere.

» Ma intanto, voi dite, anche in questi ultimi anni si contarono parecchie vittime dell’alpinismo. È vero pur troppo; ma trovatemi una professione dalla più facile alla più difficile, dalla più pacifica alla più bellicosa, dalla più sicura alla più arrischiata, che non conti le sue vittime; eppure chi pensa ad abolirle o a riprovare chi vi si dedica? Son forse pochi i naviganti inghiottiti ogni anno dal mare? Secondo i calcoli del capitano W. K. Smith, la sola marina inglese, dal 1793 al 1829, perdette in media un vascello e mezzo al giorno; la bagattella cioè di quasi 20,000 vascelli in 36 anni; e chi sa quante persone perite? Vorreste perciò distorre gli uomini dal navigare? Allora non andate più a cavallo, perchè molti cadendo si spezzano il cranio; e nemmeno in carrozza perchè la può ribaltare. In vapore? peggio! Dunque a piedi; e a piedi chi v’assicura dalle cadute o dai ladri? Finirete col cacciarvi a letto; e se tutti si stesse a letto, si morrebbe tutti d’inedia. In conclusione, voi vedete che l’alpinismo, per rapporto alla temerità, è questione da studiarsi bene, e spero che voi non vorrete esser di quelli che giudicano di prima impressione.

» Fra costoro può ben esservi anche qualche uomo illustre, come, ad esempio, l’Arago1; per il quale chi dà la scalata ai monti non ha altro scopo che di levarsi ad altezze poco accessibili all’uomo, restarci qualche minuto, poi discendere dopo aver superato grandi pericoli, riportandone oftalmie funeste, risipole al viso, geloni ai piedi. Parrebbe ancora che fosse dell’Arago un epigramma che ho durato una gran fatica a tradurre, per timore di lasciarvi cascare per caso un granello di sale. Eccovi questo giojello:

     — Paol, guide pagando,
In cima al monte Bianco s’è portato. —
     — Bravo! bene! Ma quando
Ei fu lassù, che fece? — È ritornato.

» Per quanto illustre sia l’autore di questi versi, non mi pe-

  1. Vedi Figuier, La terre et les mers, a pag. 120. Ivi riferito anche l’epigramma di cui si parla più innanzi, ma non è detto esplicitamente di chi sia.