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a occidente, le Prealpi a settentrione e a levante, gli Apennini a mezzodì, spiccati e taglienti come la lama di un coltello, serrano sull’orizzonte il diadema alla regina della lombarda pianura. Dai fianchi di quelle montagne, che si tingono da lungi del colore del cielo, si staccano le nevi, che ne rivestono le cime, soffici, intatte come pelliccie di ermellino cadenti sopra un azzurro padiglione. Ma il vento soffia, la casa trema, gli usci tentennano, ogni fessura fischia. La polvere sottile, invisibile come uno spirito, par che penetri attraverso alle muraglie e ai vetri,? piglia corpo così, che riveste di denso strato le tavole, i cantarani, gli stipi, dove, scritta in geroglifici, si legge poi la storia d’ogni dito che vi scorse, di ogni oggetto che vi strisciò; insudicia tutta la mobilia, s’insacca nelle pieghe delle tende, dei cuscini, del parato da letto, si caccia dappertutto, cresce come una muffa, a disperazione dei domestici.

Se uscite, eccovi il vento, che se la piglia coi vostri capelli, e vi soffia dentro come fossero un cespuglio, e vi zufola villanamente all’orecchio, o vi ragiona a lungo col tono di un nojoso. La gente, rada oltre l’usato, tira via serrata nei mantelli, a capo basso, cogli occhi chiusi, come se andassero all’assalto incontro alla mitraglia. Qui il lastrico è liscio, netto come una mano; là sepolto sotto piccole dune1 di sabbia e di bruciaglie sormontate da rotoli di lanugine. Le foglie della campagna s’impattono nelle carte della città, e si danno la posta nei seni delle vie, sulle piazzette, nei cortili, ove s’inseguono, si raccolgono, danzano, girano turbinando in balla di un mulinello, che, disegnato dalla polvere nell’aria, si alza, si dilegua, si rifà le cento volte in brev’ora, capriccioso e ribaldo come un folletto. Di tanto in tanto una buffa improvvisa, t’arriva come una ceffata di mano invisibile. È uno scompiglio; tutti si volgono, tutti si storcono in varie guise. Quel giovinotto allegro che fu in tempo a calcarsi bene il cilindro sulla testa, ride a crepapelle di quel brav’omo serio e grave il cui trombone2 volle un istante fare da sè, e ruzzola e scappa e sguscia di sotto la mano, proprio nell’atto che il padrone l’acchiappa. Mantelli, gonne, nastri arruffati, arricciati, contorti in mille pieghe ardite, in mille aerei svolazzi, fanno parer verisimile per un momento l’arte scultoria del secolo decimosettimo: quel barocco che nato al certo in un

  1. Lunghe strisce di monticelli di arena accumulati dai venti sulle terre marittime, sui deserti, in genere sui piani sabbiosi.
  2. Trombone dicono a Milano per celia il cappello a cilindro o cappello tondo.