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162 serata ix


«Ma come sono quelle figure?» domandò Marietta.

«Ciò dipende», risposi, «dal buono o dal cattivo gusto.... volevo dire dal diverso genere di cattivo gusto.... di ciascuno. I selvaggi dell’Australia si fanno delle piaghe profonde, per ottenere, colle escrescenze delle cicatrici, disegni in rilievo sul volto, come li ottengono i nostri credenzieri, schizzando dello zucchero a colori sulla bianca diacciata zuccherina di una torta di pan di Spagna».

Movimento nell’uditorio.... «Eh!... ih!... oh!... ah!...».

«Gli uomini delle isole Radach (Oceania), in luogo di provvedersi il panciotto, se lo incidono addosso senz’altro: un bel panciotto a due petti, con occhielli, bottonatura e ricami, cui la pelle serve ad un tempo di stoffa e di soppanno. Non ci mancano che i taschini....».

«Perchè non ce li fanno?» chiese ingenuamente la Biggia, pacchierotta innocentona. Ma dovette rannicchiarsi, e farsi visiera agli occhi col rovescio di una manina grassotta, che lasciava scoperte due guancie di bragia, colpita da tale uno scroscio petulante di risa universali, che quasi mi pentii.... poveretta! di averlo provocato.

«Le donne delle isole Sattikoff spingono la civetteria fino a ricamarsi addosso una camiciuola tutta d’un pezzo, che copre loro le spalle, le braccia, e termina con eleganti polsini, cui tengon dietro i guanti, sempre della stessa stoffa».

La Biggia stavolta non domandò nessuna spiegazione.

«Ma i più strani a vedersi sono gli indigeni della nuova Zelanda, il cui corpo è tutto istoriato di geroglifici, di figure simboliche, tutto rabescato a guisa di uno sciallo di cachemire, o di una di quelle sedie di pelle damascata, delle quali vi ha ancora qualche reliquia nelle case dei nonni, nelle sagrestie e nei conventi. Il volto specialmente è adorno di incisioni, collo spreco che si addice ad un frontispizio di una edizione di lusso. La fronte, le ciglia, le guancie, il mento, il naso, e fin l’orlo intorno alle narici, tutto è barbaramente cesellato a sangue. Si direbbe che quei cannibali abbiano voluto spegnere, colla deformità del viso, quel raggio divino, che pur sempre traspare dal volto dell’uomo, perchè solo vi apparisse l’avvilimento di questa povera umanità colpevole, inselvatichita, degradata al livello delle belve feroci».

«Ma sono tutti così ad un modo gli abitanti della Nuova-Zelanda?» domandò la Lucia.

«No; là si fa sfoggio di tatuaggio, come da noi di stoffe, di