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— Scrive limpido come vive, — pensò Ettore Noris, e per un istante l’immagine di Minerva Fabbri lo riconciliò colla vita.

Venne poi subito, non a deprimerlo ma a turbarlo profondamente, un’altra lettera, più breve ancora di quella di Minerva Fabbri, firmata anch’essa con un nome femminile: Susanna Pearly. Gli occhi di Noris, che erano subito corsi alla firma con una subitanea impressione di sorpresa lieta, rimasero sbarrati e attoniti sulle righe brevi della lettera:

«Caro amico lontano, io muoio: vorrei prima vedervi ancora una volta».

Null’altro.

Dieci volte Noris rilesse il messaggio breve e lugubre senza riuscire a spiegarselo. Che accadeva, che era accaduto a Susanna?

Una tragedia? una sventura? una catastrofe?

Quella era la prima notizia diretta che gli giungeva dalla fanciulla dopo più d’un anno, dal giorno che egli aveva avuto, nel triste dialogo dell’hangar, la rivelazione dell’amore nato senza sua colpa nell’animo di Susanna.

Fedele alla sua dignità, ella non aveva più scritto e nessuno più aveva dato a Noris notizie dirette di lei. Soltanto un giorno, Max Kindler che manteneva immutati i suoi rapporti d’affari coll’aviatore, aveva scritto narrando a Noris come il suo matrimonio con Susanna fosse stato aggiornato per le condizioni di salute della signorina che non erano più floride come prima. Noris aveva espresso il suo rammarico e formulato i suoi voti, convinto però che quella fosse una scusa trovata da Susanna per non mandare subito a effetto l’inviso matrimonio con Kindler.

E non aveva più saputo nulla. Anche Kindler, veramente, non scriveva più da due mesi, per la semplice ragione che nessun attuale affare lo legava a Noris.

Che cosa poteva essere accaduto in quei due mesi?

Guardò per la decima volto la lettera: e sol-