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volgare, che attribuisce a Dio finalità ed attività sul tipo umano, essa ha perfettamente ragione: i vaniloqui della teodicea volgare spiegano e giustificano l’indigna­zione di Spinoza. Egli ha ancora ragione quando vuole sia esclusa dalla realtà assoluta ogni finalità. Credere che Dio produca il mondo per un puro beneplacito, per un atto di volontà, che poteva anche non essere, è as­surdo: perchè tale volontà e il caso sono una cosa sola (lett. 54). Ma credere che Dio produca il mondo in vista d’un fine è più assurdo ancora: perchè è un sottoporre Dio ad una necessità esteriore, ad una specie di fato (Et., I, 33, scol. 2). L’azione di Dio è un processo eterno che è fine a sè. «L’essere che diciamo Dio o Natura agisce con la stessa necessità con cui esiste... Come dunque non esiste in virtù d’alcun fine, così non opera per alcun fine: esso non ha alcun fine o prin­cipio dell’esistere come dell’agire» (Et., IV, pref.).

Ma da questo non si deve concludere che non vi siano fini e che tutto sia perfetto anche in questo nostro mondo finito. Nel suo sdegno polemico contro le rap­presentazioni superstiziose, Spinoza perde spesso di vista questa distinzione. Se tutto fosse perfetto e neces­sario, anche nella realtà finita, che differenza di valore vi sarebbe ancora tra chi segue la ragione e chi non la segue? Ma questo è un punto sul quale Spinoza dovrà tornare ancora più innanzi.