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che causa la passione, per considerare la concatenazione universale in cui è compreso. A fondamento dell’essere e delle affezioni nostre stanno (come si è veduto nel libro II) elementi universali, che non possono venir concepiti se non adequatamente: ora tutto ciò che procede da idee adequate è conosciuto adequatamente: quindi non vi è passione che non possiamo, almeno in parte, conoscere adequatamente. In altre parole: non vi è niente che non sia la manifestazione di leggi generali e che quindi, come tale, non possiamo per mezzo di queste leggi generali conoscere adequatamente: quindi nessuna passione che non possiamo trasformare sottoponendola ad una considerazione generale, filosofica (prop. 4). Quando ciò avviene, la mente nostra dalla considerazione limitata d’un oggetto passa ad alias cogitationes: onde tolto l’oggetto, è tolta la passione (prop. 2). La conoscenza oscura e vaga, che costituiva la passione, si trasforma in attività dello spirito: la stupefazione dolorosa lascia il posto alla comprensione congiunta con l’acquiescenza (prop. 3).


Poiché non vi è nulla da cui non segua qualche effetto e tutto quello che segue da una nostra idea adequata è inteso chiaramente e distintamente, ne viene che ciascuno ha il potere di comprendere sè e le sue passioni, almeno in parte, chiaramente e distintamente e quindi di far sì di essere meno ad esse soggetto. A questo bisogna sopratutto mirare, e cioè a conoscere, per quanto si può, ogni passione chiaramente e distintamente, affinchè la mente dalla passione venga a meditare sulle cose che concepisce chiaramente e distintamente ed in esse si rassereni; e così la passione venga separata per opera del pensiero dalla causa esterna e si associi alla considerazione della verità: dal che avverrà che non solo l’amore, l’odio, ecc., saranno distrutti, ma che anche i desideri, i quali sogliono procedere da tali passioni non avranno più nulla di eccessivo... Di questo rimedio delle passioni, che consiste nella vera conoscenza delle stesse, nessun rimedio più eccellente è in poter nostro, non avendo la mente nostra altra potenza che quella di pensare e di formare delle idee adequate. (Et., V, 4, scol.).