Pagina:Spinoza - L'Etica - Paravia, 1928.pdf/126


— 110 —

giudica essere a sè utile altro se non ciò che conduce all’intendere.

Prop. 28. Il bene della mente è la conoscenza di Dio e la suprema virtù della mente sta nel conoscere Dio.

Per virtù Spinoza intende la potenza dell’umana natura, il conatus sese conservandi che ne costituisce l’essenza. Ora poichè in ogni azione umana vi è un nucleo di realtà e di attività, vi è in essa qualche virtù: e tanto più virtuoso ci apparirà l’uomo, quanto più intenso è in lui questo conatus verso la pienezza dell’essere suo. Ma un’azione sarà assolutamente virtuosa solo quando sia una pura manifestazione dell’essenza, un’attività pura. Ora procedere pienamente dalla potenza d’un essere ed essere esplicabile dalla natura di questo essere, procedere logicamente dalla sua idea sono per Spinoza una sola cosa: agire virtuosamente è quindi agire in modo che l’agente possa intendere tutta la sua attività: ciò che certamente implica una perfetta conoscenza dell’essere proprio nella sua unità con le cose e con Dio. Agire virtuosamente è quindi agire comprendendo, svolgere un’attività razionale, ex ductu rationis agere. Il che è pur sempre un agire nel proprio interesse bene compreso: qui Spinoza ribadisce la conciliazione del ex ductu rationis vivere e del suum utile quærere. Il conatus sese conservandi è quindi da Spinoza definitivamente ridotto al conatus intelligendi: «est igitur mentis absoluta virtus intelligere». L’uomo pone come bene tutto ciò che in lui favorisce la conoscenza razionale, che è anche certezza; chi intende, non solo ha il vero bene, ma ha la certezza di possedere il vero bene. Il grado più alto della vita razionale è la conoscenza perfetta della ragione, la conoscenza della totalità nella sua unità, la conoscenza di Dio.

3) Con la prop. 29 comincia un nuovo argomento. Spinoza mostra qui come la moralità (cioè l’insieme delle virtù che rendono possibile la convivenza sociale) si concilii con l’ideale della conoscenza di Dio ed anzi