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di questo fatto e di più di mostrare il male e il bene delle passioni. Ma prima devo dire qualche cosa della perfezione e dell’imperfezione, del male e del bene.

Chi ha stabilito di fare una cosa e l’ha finita bene, chiamerà perfetta l’opera sua: e così farà ciascun altro che abbia conosciuto bene il pensiero e il fine dell’autore di quell’opera o che abbia creduto di conoscerlo. Se, per es., alcuno vede qualche opera non ancora finita e sappia che lo scopo dell’autore di quell’opera era di edificare una casa, dirà quella casa imperfetta; e la dirà perfetta appena veda l’opera portata a quel compimento che l’autore aveva stabilito di darle. Ma se alcuno vede un’opera senza mai aver veduto nulla di simile, nè conoscere il disegno dell’autore, colui non potrà sapere se l’opera era perfetta od imperfetta. E questo è il primo senso che ebbero questi vocaboli. — Ma poichè gli uomini cominciarono a formare idee generali e ad escogitare dei modelli di case, edifizi, torri, ecc., e a preferire certi modelli a certi altri, avvenne che ciascuno chiamò perfetto ciò che vedeva convenire con l’idea universale che di tal cosa s’era formato ed invece imperfetto ciò che sembrava meno convenire col suo concetto esemplare, sebbene fosse stata compiuta secondo il disegno dell’artefice. Nè altra è la ragione per cui il volgo appella perfette od imperfette le cose naturali, cioè non fatte per mano d’uomo; poichè gli uomini sogliono formarsi tanto delle cose naturali quanto delle artificiali idee generali, che ritengono come esemplari delle cose e che, secondo essi, la natura (la quale non farebbe nulla se non in vista di fini) si tiene dinanzi e si propone come tipi esemplari. Quando perciò vedono farsi nella natura qualche cosa che meno s’accorda col modello esemplare che essi se n’erano formato, credono che la natura abbia mancato o peccato od abbia lasciata imperfetta l’opera sua. Vediamo dunque che gli uomini hanno sempre chiamato le cose perfette o imperfette più per un pregiudizio che in base ad una cognizione. Noi abbiamo mostrato che la natura non agisce secondo fini: perchè quell’Essere eterno ed infinito, che diciamo Dio o Natura, agisce per la stessa necessità per cui esiste. Abbiamo infatti mostrato (Et., I, 16) che la necessità della sua natura per cui esiste è anche quella per cui agisce. Dunque la ragione o la causa per cui Dio o la Natura agisce e quella per cui esiste
7 —B. Spinoza, L’Etica.