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zione, che costituisce una causa efficiente dell’azione, causa procedente alla sua volta da altre cause. La perfezione e l’imperfezione non sono quindi nulla di obbiettivo: nell’ordine assoluto ogni cosa ha necessariamente tutto quanto risulta dalla natura della sua causa ed è quello che deve essere: essa è perfetta od imperfetta, buona o cattiva solo da un punto di vista tutto umano e subbiettivo.

Quale sia questo punto di vista abbiamo già veduto nella introduzione al libro terzo. L’uomo nel suo stato presente non ha nè può avere presente alla mente l’ordine assoluto delle cose, dove tutto è, in senso eminente, perfetto: il fine della filosofia è appunto quello di elevarlo verso quella realizzazione perfetta dell’essere suo, che è anche immedesimazione, per la conoscenza e la volontà, con l’ordine perfetto. Ora è appunto in questa elevazione umana che sono possibili gradi diversi e che hanno un senso le distinzioni di valore, i concetti di bene e di male. — Però anche qui Spinoza fa una riserva. L’uomo nello sforzo di realizzare il vero essere suo si forma come un tipo ideale di perfezione umana: e chiama bene o male tutto ciò che ve lo avvicina o ne lo allontana. Ora questo tipo ideale è una pura finzione sussidiaria (come i concetti generali): perchè ogni uomo ha la sua essenza, quindi la sua perfezione, il suo ideale: il progresso nella perfezione non sta nel mutare di essenza, ma nell’attuare più perfettamente la realtà che è nell’essenza propria. Il che non consiste naturalmente nel realizzare più a lungo l’essenza nell’esistenza empirica, la quale nulla conferisce alla perfezione dell’essenza, ma nell’acquistare la coscienza di quella realtà propria che è superiore all’esistenza empirica.


Chiamo schiavitù impotenza dell’uomo a governare e moderare le sue passioni: l’uomo sottomesso alle passioni non appartiene infatti a sè, ma alla fortuna: alla quale è tanto soggetto che spesso è forzato, pur vedendo il meglio, di fare il peggio. Mi sono proposto in questa parte di ricercare la causa