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— Non è arrivata la signora Gili!

— Oh! Oh! Oh!

E il malumore offuscava i visini.

Un dilettante suonò una polca tanto per farle sgranchire. Finalmente Noemi Gili apparve sulla soglia, e tutti le furono intorno per acclamarla, mentre lei si scusava dolcemente per quel ritardo.

Era una figurina di media altezza, di proporzioni squisite. Il semplice abito di casimir bianco, guernito in velluto nero, l’allungava un po’ e dava alle sue forme delicate un rilievo statuario. Nel viso, non perfettamente regolare, e un po’ estenuato, brillavano due grandi occhi azzurri, profondi, contornati da lunghe ciglia e da sopracciglia vellutate e abbondanti.

Quella sera, le sue guancie morbide apparivano più pallide del solito; e la sua bocca, un po’ larga ma fornita di denti magnifici, era un po’ stirata da una interna amarezza.

Arturo Dalpi, il giovine pittore dai vividi occhi, la guardava in silenzio e notava quei segni di sofferenze segrete eroicamente sopportate.

Ella andò diritta al pianoforte e cominciò un valzer come faceva sempre.

Le coppie si slanciarono. Era una gioia ballare quando suonava la signora Gili!

E lei suonava anche quella sera; apparentemente tranquilla. Le mani abili e abituate andavano da sè.

Ma quanto le sarebbe durata quella forza fittizia?

Noemi si rivolgeva con terrore questa domanda; e rabbrividiva accorgendosi che tremava tutta di dentro: che le sue dita, di solito così spedite, s’irrigidivano, che la testa le girava.