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Egli le vedeva distintamente, sedute ai quattro angoli de letto enorme.

Lo guardavano fisso traverso ai complicati ricami dei loro veli, mute, immobili, sinistre. Egli li sentiva nelle proprie carni quegli sguardi ardenti; e il pallore di quelle faccie consumate dall’ascetismo gli faceva provare un senso d’ignoto terrore.

Invano chiudeva, per la centesima volta gli stanchi occhi; le vedeva lo stesso traverso le palpebre chiuse; sentiva la loro letale presenza, nelle folte tenebre.

Avrebbe voluto interrogarle, spinto da un’ardente curiosità, ma non osava, come quel giorno in Albino. E rimaneva immobile, soggiogato, ipnotizzato.

A poco a poco, la visione, o sogno, o fantasia, mutò forma.

Le quattro donne cominciarono a ingrandire. Su... su... salivano vertiginosamente; diventavano gigantesche, immense, indefinite. E gli ampi veli dalle pieghe pesanti si agitavano intorno ad esse come grandi ali nere.

Finalmente, le misteriose figure parevano disciogliersi, confondersi col tenebrore universale, e il maestro aveva la strana sensazione di essere portato via, avvolto in quei veli, sempre più lontano, sempre più in alto.

Tutto ciò durò un tempo che a lui sembrò lunghissimo.

Improvvisamente i fantasmi si dileguarono; le grandi ali nere non lo sostennero più; abbandonato in mezzo allo spazio infinito, egli si sentì precipitare da un’altezza vertiginosa in un baratro senza fondo.

Svegliatosi di soprassalto, balzò dal letto, si vestì in fretta e andò a passeggiare sulle mura deserte.